1408
REGIA: Mike Hafstrom
SCENEGGIATURA: Matt Greenberg,
Scott Alexander, Larry Karaszewski
CAST: John Cusack, Samuel L.Jackson, Tony Shalhoub
ANNO: 2007
A cura di Marco Compiani
NON APRITE QUELLA
“STANZA” (MA ORMAI DOVRESTE SAPERLO!!!)
Stephen King possiamo
considerarlo una vera e propria multinazionale artistica, sia letteraria che
cinematografica e 1408 lo conferma
pienamente. Un po’ come il marchio doc sui
vini, quando l’industria del grande schermo si ritrova un soggetto tratto
da questo scrittore di culto eccolo lì, un nuovo film confezionato “coi fiocchi” e propenso ad invadere le sale, ben vitaminizzato
da una firma di moda e da una campagna pubblicitaria da elezioni presidenziali
(questa estate nella metropolitana londinese le facce losche di L. Jackson e Cusack riempivano i cartelloni)
Nel caso specifico assistiamo ad una deviazione del magnifico Shining: sempre
un albergo, sempre una stanza maledetta e sempre un’”artista”
in cerca d’ispirazione. Lasciando da parte l’Overlook
Hotel, soprattutto perché colui che lo rese cinema è
di un altro pianeta, tentiamo di addentrarci in un giocattolino
tutto meccanismo e niente contenuto. Schematizzazione esasperata forse, ma decisamente veritiera anche perché tutto si regge sul povero
Eslin rinchiuso dentro la stanza 1408 e sul
conseguente crescendo di manifestazioni paranormali.
Luogo del latente e dimensione subconscia, molto attrazione
da Luna park, in una commistione tra l’elemento propriamente Horror e quello
un po’ più divertissement, l’Hotel Dolphin si presta a fungere da riempimento del background
del protagonista, introdotto da una più che banale ambiguità comportamentale.
Nell’incipit infatti, di riduttiva auto-ironia,
si presenta uno scrittore amante del surf che si diletta a realizzare guide
turistiche di ipotetici luoghi infestati. Produzione creativa di ampio respiro commerciale quindi, che fa di Cusack una
maschera depressa e cinicamente fricchettona, lontana da una felicità
professionale e pieno di rimpianti per un lontano debutto artistico (citato
quasi per errore) nel quale si prospettava una carriera di contenuto.
Quasi per ironia riecco qui il termine prima citato:
il contenuto.
Al di là del target prefissato, 1408 si struttura, attraverso un gioco di flashback
“terrificanti”, nello svelamento della
vera identità del main character,
ma questa non dà alcunché alla storia, che procedendo in maniera forzata, è
programmata, come consuetudine, a tesi. Traumi familiari, avvenimenti di lutto
che piombano ingiuriosamente, la camera del male si presta come viaggio a
ritroso e presa cosciente di un passato rifiutato ma pronto, se c’è di
mezzo un meccanismo infernale, a riproporsi.
I giochi di paura così iniziano a raffica e gettano lì qualche senso della vita
e approfondimento psicologico, ma quello che conta veramente, è
l’esaurirsi della tensione drammaturgica dopo
poco più di una mezz’oretta. Gli escamotages
per fare del film un enigma di difficile (fuori)uscita provano
intanto, visivamente e narrativamente, a depistare lo
spettatore, tra cui, degni di sottolineatura ridente, sono i fenomeni poltergeist presentati come ologrammi da fantascienza. La
volontà forse era quella di pensare ad un meccanismo telecomandato? Boh, i dubbi li lascio a voi.
Per evitare di essere troppo crudeli, è giusto
constatare la piacevole fruizione alla quale Hafstrom, in un continuo non
prendersi sul serio, detta tempi lisci e sfiziosi.
C’è da chiedersi comunque perché tappezzare un
film del genere di dolly e riprese aeree
ingiustificate, quando la funzionalità risiede nel taglio claustrofobico
e nelle sue protesi immaginative. C’è però chi ha i soldi e, ahimé, può farci quello che vuole.
Io intanto continuo a mangiarmi un bidone di popcorn nella sala semivuota e
lascio da altruista John Cusack dentro
la sua stanza che, in fondo, così paura non fa.
(10/12/07)