1997: FUGA DA NEWYORK

REGIA: John Carpenter
CAST: Kurt Russel, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine
SCENEGGIATURA: John Carpenter, Nick Castle
ANNO: 1981


A cura Luca Lombardini

RITORNO AD UN DOMANI PEGGIORE

Ogni genere cinematografico vanta dei classici, pellicole mitiche, avvolte da un’aura di immortalità e intoccabilità, attraverso le quali si viene iniziati alla visione. Ma esistono dei classici di fantascienza? Metropolis è un classico? Melies è un classico? L’invasione degli ultracorpi è un classico ? 2001: odissea nello spazio è un classico? Matrix diventerà mai un classico? Ma forse sarebbe meglio domandarci: può una tipologia filmica da sempre rivolta al futuro rimanere aggrappata a dei modelli di stile e di riferimento? Fuga da New York non risolverà questo dilemma, ma di certo possiede una qualità non da poco, quello di essere ormai un classico della storia del cinema, almeno per due, validissimi, motivi. Il primo ha a che vedere con la sua intelaiatura, che ha come punto di riferimento il western, “genere cinematografico per eccellenza”. Di quest’ultimo possiede la secchezza e l’efficacia della trama, l’invulnerabilità del protagonista e una serie di sottigliezze tra le quali, non passano certo inosservati nomi e nomignoli dei personaggi: Van Cleef è Hauk (o Hawks come Howard ?), Isaac Hayes è Duke, lo stesso appellativo che per anni ha identificato John Wayne, come del resto i volti stessi degli attori, maschere da Mucchio Selvaggio (Ernest Borgnine) o da Cattivo (Van Cleef).
La seconda motivazione sta tutta nel nome di John Carpenter, insieme a Clint Eastwood, Walter Hill e Michael Mann uno degli ultimi cineasti classici americani. Un autore in grado non solo di trasportare topoi western sull’asfalto urbano (Distretto 13, le brigate della morte), ma capace addirittura di tratteggiarli con sfumature orrorifiche (Vampires).
1997… è cinema al cubo, opera autoriale che possiede l’impatto e la forza dei solidi B–movies, dove Carpenter ricostruisce stilisticamente lo spazio proprio del noir metropolitano centrifugando film futuribile, western e I guerrieri della notte, aprendo di fatto la strada a quello che diverrà famoso con il filone del post–atomico italiano.
Rivista oggi, la pellicola sembra la trasposizione cinematografica di un passo de La sociologia del cinema di Metz: “La verità di oggi può sempre divenire il verosimile di domani”. Manhattan non sarà una prigione/fogna a cielo aperto nel 1997, solo perché già lo era nel 1981 e continua ad esserlo ne 2006, perché a guardarla bene, altro non è che la facciata retrostante della fortezza costruita e governata da Dennis Hopper in Land of the dead, con la sola differenza che Romero vi rinchiude la “gente per bene”, mentre Carpenter la trasforma in maxi penitenziario per “criminali”. La domanda a questo punto, sorge spontanea: c’è veramente differenza tra le due realtà? La risposta, quanto mai scontata è no, non c’è differenza, anzi, la feccia vera alberga nelle lussuose stanze del grattacielo romeriano.
“Iena” stesso incarna la figura tradizionale dell’eroe americano sfruttato, prosciugato di energie fisiche e mentali, mandato a morire, idolatrato e “bucato” di medaglie fino a quando se ne è sentito il bisogno, per poi venir messo al bando come nemico pubblico numero uno (Bin Laden?). Lo sceriffo, il poliziotto che viene trasformato improvvisamente in fuorilegge, un martire a cui viene imposto di salvare il presidente in cambio della libertà, che atterra con un monoplano (questo si che fa veramente impressione) su una delle torri gemelle…
Carpenter è stato capace di guardare al futuro riuscendo nell’impresa di prevedere il naturale evolversi degli eventi, la conferma che la buona fantascienza è, nove volte su dieci, racconto dell’oggi camuffato da anticipazione del domani.
Semmai un giorno dovesse scoppiare la terza guerra mondiale, ricordiamoci di questo film…

(15/04/06)

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