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28 SETTIMANE DOPO

REGIA: Juan Carlos Fernadillo
CAST: Robert Carlyle, Rose Byrne, Jeremy Renner, Harold Perrineau jr
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SCENEGGIATURA: Rowan Joffe
ANNO: 2007


A cura di Luca Lombardini

VIRUS!!!!!

Freddare la propria donna, sparare in testa a quella che una volta era tua madre, correre all’impazzata inseguiti da un fratello affamato della tua carne. Distruzione del nucleo familiare e affettivo che, ad un tratto, si coalizza, cannibalizzandosi, contro l’ultimo dei non contagiati: in una sola parola APOCALISSE. Fin dalle proprie origini, il sottogenere horror meglio conosciuto come zombie movie, ha sempre fatto leva su questo inquietante paradosso emotivo che, sottotracce politico sociali a parte, rappresenta la pietra angolare sulla quale costruire l’impalcatura di suspense e terrore capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo. Nonostante 28 settimane dopo debba considerarsi una pellicola atipica se inserita all’interno del citato filone (trattasi di “infetti” e non di morti viventi classici), dimostra, fin dalle primissime inquadrature, di saper attingere tanto e bene in quel calderone di capolavori (pochi) e schifezze (tante) che, dal 1968 in poi, deve, giocoforza, esser riconosciuto come tradizione. Rintracciabili, infatti, sono sia alcuni luoghi “caratteristici” (la casa isolata in campagna), sia alcuni punti interrogativi che stanno all’origine della trama (qual è l’origine dell’infezione?); il sequel del già gradevolissimo 28 giorni dopo, infatti, stupisce in positivo proprio per la sua capacità di amalgamare al meglio innovazione e classicità. Al centro di questo incontro generazionale due trovate metaforiche che non possono e non devono passare inosservate, in quanto rappresentano la vera forza centripeta del film. Primo tra tutte l’incedere sullo sfaldarsi della famiglia, isola felice sacrificata sull’altare dello spirito di sopravvivenza, concezione inconcepibile in un mondo dove non può non regnare il motto mors tua vita mea che, ad un passo dal rinsaldarsi, si trasforma in causa involontaria che darà il via ad una nuova epidemia (il bacio spontaneo e “fatale” tra marito e moglie che si ritrovano). Altrettanto importante lo sfondo geografico, retaggio del prototipo, dove viene ambientato anche questo secondo episodio. Londra, città multi-etnica per eccellenza, si presta ad una lettura tanto politicamente scorretta quanto efficace: più razze, più culture, più costumi, che costituiscono un viatico fin troppo accessibile, affinché le trasmissioni tra indigeni e non possano condurre alla diffusione di un virus infettivo. Ma oltre che su un solido apparato “filosofico”, 28 settimane dopo può far leva su una confezione stilistica di tutto rispetto. Fernadillo sa girare, e dà il meglio soprattutto nelle scene d’azione, cadendo nel tranello dell’eccesso in una sola occasione (l’elicottero che trancia teste di infetti con le pale sarebbe accettabile solo in operazioni stile Commando 2) e abbellendo il tutto con un piglio da documentario di guerra, immortalato con una fotografia sporca che sa di sangue rappreso. Pur non mancando i richiami al maestro Romero (il sottofinale in elicottero) a far accendere la classica lampadina sono i rimandi ad alcune pellicole “insospettabili” come I figli degli uomini. Come nell’ultima fatica di Cuaron è ancora una figura femminile (nonché madre) ad essere portatrice dell’eventuale cura, così come il destinatario del patrimonio genetico e sanguigno di quest’ultima, assomiglia e non poco all’uomo più giovane d’Inghilterra la cui morte scatena il panico nel film interpretato da Clive Owen. 28 settimane dopo è il tipico esempio di cinema di genere fatto con senno e conoscenza dei topoi ai quale fare riferimento. Diverte, spaventa e intrattiene senza mai annoiare, e possiede il raro dono di mettere d’accordo puristi e novellini. Non un’ opera immortale per la quale valga spellarsi le mani, ma sicuramente una pellicola che, all’uscita dalla sala, fa esclamare, e non a torto, “ad avercene…”

 

(17/10/07)

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