30TFF: CALL GIRL di Mikael Marcimain

REGIA: Mikael Marcimain
SCENEGGIATURA: Marietta von Hausswolff von Baumgarten
CAST: Pernilla August, Sofia Karemyr, Josefin Asplund, Simon Berger, Kristoffer Joner
NAZIONALITÀ : Svezia, Norvegia, Finlandia, Irlanda
ANNO: 2012

CALL ME

Stoccolma, anni ’70. In una Svezia all’apice della liberazione sessuale, tra gli ossimori di proposte di legge che paiono apologie di stupro e pedofilia e campagne elettorali che inneggiano alla parità tra uomo e donna, il fatto di cronaca noto come lo scandalo Bordellhärvan è duro colpo per una nazione troppo spesso presa a modello: un grosso giro di prostituzione nel quale sono coinvolte anche minorenni, e con clienti d’eccezione, tra i quali il Ministro Della Giustizia. L’insabbiamento è d’obbligo e chi tenta di indagare ci rimette la pelle.

Su questo canovaccio si sviluppa il plot di Call Girl, co-produzione a firma nordeuropea (ad eccezione dell’Irlanda) ed opera prima dello svedese Mikael Marcimain, già regista di seconda unità per La Talpa, di Tomas Alfredson, esperienza di cui si ritrovano tracce tangibili in questo suo debutto, in primis dal punto di vista di un narrato dall’impronta “politicamente impegnata”, che rimanda da vicino a illustri pellicole statunitensi del decennio ’70 e a nomi come Pollack e Pakula, nel portare alla luce gli ingranaggi di un sistema omertoso e inesorabilmente marcio. Presentata alla 30° edizione del Torino Film Festival, dove ha riscosso ampi consensi, la pellicola si è guadagnata il Premio Bassan – Arti e Mestieri, assegnato alla scenografa Lina Nordqvist per la grande abilità nel ricreare le ambientazioni dell’epoca, riprodotte con incredibile efficacia dando così al film un’atmosfera realistica e totalmente calata in quegli anni.

In Call Girl vi è un intrecciarsi dei plot, nel narrare la storia di Iris (Sofia Karemyr) e di sua cugina Sonja (Josefin Asplund), due quattordicenni irrequiete ma fondamentalmente ingenue, affidate alla casa minorile Alsunda; capitate per caso in un festino a dir poco ambiguo, le giovani incontrano Dagmar Glans (magnificamente interpretata da Pernilla August), maîtresse d’alto bordo che gestisce un redditizio giro di squillo, tra feste di lusso e clienti potenti. La Glans è vera e propria donna d’affari, astuta e priva di scrupoli, che cela il suo vero volto dietro un’apparenza eccessivamente affettuosa e fintamente materna; Iris e Sonja in un primo tempo sono stordite dall’ebbrezza dei soldi facili, circondate da grand hotel e da nauseanti e viscidi complimenti. La patina dorata è destinata a crollare presto, lasciando il posto alla consapevolezza della propria mercificazione, al disgusto, e alla voglia di mollare tutto.

Marcimain sceglie dunque di focalizzare il proprio punto di vista partendo dall’interno della vicenda, mettendo in luce il sentire delle due protagoniste, per poi estendersi alla denuncia sociopolitica; l’ispettore di polizia John Sandberg (l’ottimo Simon Berger), conduce le indagini sui traffici della Glans, dipanando una matassa che si fa sempre più scottante: non appena emergono i grossi nomi coinvolti, Sandberg rimbalza contro un muro di ostracismo, vedendo il proprio lavoro completamente ostacolato, fino alla più tragica delle conclusioni.

La messa in scena è rigorosa, forte di uno stile atipico che dimostra un innato talento per le immagini, con trovate registiche efficacissime che vanno a comporre una cifra visiva già personale, caratteristica non comune in un’opera d’esordio. Marcimain lascia che il racconto si svolga con un ritmo lento, per ben 140 minuti, senza mai risultare tedioso ed evitando la facile trappola dei tempi morti, catturando lo spettatore in una spirale sempre più stretta che lo attrae magneticamente verso il racconto.

Tecnicamente impeccabile, con un montaggio sapiente, la splendida fotografia seventies firmata da Hoyte Van Hoytema, e forte di una sceneggiatura che è perfetta colonna portante, scritta da Marietta von Hausswolff von Baumgarten (anche lei esordiente di rango), Call Girl rappresenta il classico esordio col botto, in quanto pellicola matura e di notevole valore. Marcimain verrà inevitabilmente atteso al difficile varco dell’opera seconda, che sarà vera prova del nove nel soddisfare appieno oppure deludere le alte aspettative create da un debutto che si pone su piani decisamente più elevati rispetto alla norma. 

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