4:44 LAST DAY ON EARTH di Abel Ferrara

REGIA: Abel Ferrara
SCENEGGIATURA: Abel Ferrara
CAST: Willem Dafoe, Shanyn Leigh, Paz de la Huerta, Natasha Lyonne, Anita Pallenberg
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2011

IL GIORNO IN CUI IL MONDO FINÌ  

Dal cristianesimo al buddismo il passo è breve. Questione di prospettiva, angolatura che consente a Ferrara di penetrare il filone catastrofico al fine di asservirlo ai propri scopi. Succede quando l’agitata spiritualità della ricerca evangelica cede il posto ad una rassegnazione d’animo (solo?) superficialmente pacifica: Mary è il passato, 4:44 Last day on Earth il presente che non contempla futuro. Il Blackout definitivo.

L’ultimo Abel Ferrara si schiude sulle parole di un guru televisivo e alterna i vani ammonimenti di Al Gore alla saggezza del Dalai Lama: il mondo sta per finire, tutti lo sanno, nessuno sembra disperarsi all’idea; calma e placida rassegnazione regnano sovrane. 4:44 non contempla isterismi di massa, corsa a far scorta di provviste, frenetiche ricerche di bunker antiatomici, città in fiamme o media impazziti. Tutt’altro. La consuetudine, ciò che di solito è lecito vedere nelle prossimità di certi indirizzi cinematografici, viene sostituita da un’inarrestabile attesa alla rovescia: ultimo capodanno che Ferrara ripulisce da ogni cliché fantascientifico, svuotandolo per lasciarne comunque intatto lo scheletro, scherzando, giocando con il genere, così da allestire quell’intuizione di fondo che, dopo averlo schiaffeggiato, permette a chi assiste di guardare a questo Last day on Earth come a un film da tenersi stretto.

Diranno i più preparati che 4:44 non (si) inventa nulla: ci aveva già pensato Don McKellar con Last Night. Vero, eppure questo Ferrara insegue ben altri traguardi, e lo fa studiando una traiettoria improvvisata e del tutto personale, che rinnega quanto raggiunto grazie a Ultracorpi – L’invasione continua, utilizzando si la fantascienza, ma senza per questo obbedire ad ogni sua richiesta di codice, colpendo per ferirla di striscio, entrando e uscendo dal corpo del bersaglio, quasi Ferrara cercasse di dirigere il suo personale Melancholia.

Come da copione di genere, Last day on Earth confina lo spettatore di fronte ad un avvenimento straordinario, ma lo priva del senso di tranquillità logica derivante dalle spiegazione scientifica delle cause: la conseguenza che è a meno di ventiquattro ore dal verificarsi, si trascina dietro solo dei sospetti, non delle certezze matematiche. Un secondo colpo ad effetto quindi, che, non bastasse il cambio di prospettiva iniziale poc’anzi accennato, contribuisce ad abbassare le difese immunitarie di chi guarda, aumentandone il senso di smarrimento. Ciò consente a Ferrara di sfumare la pellicola, dando libero sfogo ad ogni sua lunatica stranezza: si tratti di inserti televisivi a dir poco approssimativi (addirittura una mandria di bufali che non può non ricordare Ed Wood), dialoghi la cui continuità sembra spesso appiccicata con lo scotch di seconda mano, atmosfera new age o la perenne attitudine finto alternativa che pervade il duetto Dafoe-Leigh (loft, giovane pittrice dal compagno maturo-ex-tossicodipendente-con-un-matrimonio-alle-spalle).

Una cornice a tratti stucchevole e dall’atteggiamento di sfida, che non si cura minimamente di smussare gli angoli dei suoi  palesi difetti. Ciò nonostante comunque in equilibrio, seppur precario. Svestiti i panni del Matthew Modine di Mary, Abel Ferrara indossa quelli del newyorkese Willem Dafoe che, attonito, si muove nel countdown di un piccolo film: grezzo e spontaneo nella regia, sporco per fotografia e ambienti, distorto nelle musiche; quasi si cercasse di ricreare un ipotetico crossover tra Velvet Underground e Wall of Vodoo. Perché in fondo, 4:44 Last day on Earth resta un film del suo autore, proprietà intoccabile, che alla frenesia preferisce la rassegnazione dell’ultimo saluto ai propri cari tramite skype, una passeggiata notturna tra le strade di sempre alla ricerca degli amici di sempre, o l’ennesima tentazione, respinta, di un vecchio vizio. Personale, imperfetto, sfocato, eppure toccante, a suo modo a fuoco. L’ultimo Ferrara è capace di raccontarci molto di più sulla fine del mondo rispetto ad un Contagion qualunque. 

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