5 CENTIMETERS PER SECOND

REGIA: Makoto Shinkai
SCENEGGIATURA: Makoto Shinkai
ANNO: 2007


A cura di Pierre Hombrebueno

FUTURE 08’: LE PAROLE CHE NON TI HO MAI DETTO: IO TI AMO

Un film più unico che raro, dove forma e contenuto si abbracciano con cotanta perfezione e maestosa grazia, poesia espressa oltre il limite del possibilmente immaginabile.
Probabilmente l’opera che attendevamo da una vita, quella love story infinita e naive, retrò seppur aggiornato ai passi dell’attualità, dello scorrere presente di un tempo però imprendibile e astratto, indistinguibile da quella massa di memoria confusa-disillusa ma assolutamente funzionante e scorrevolmente brillante. Sempre. E stavolta è pure inimmaginabilmente animazione, che se da un occhio guarda alla poetica del Kareshi kanojo no jijo, dall’altra abbraccia un certo formalismo intrippato alla Neon Genesis Evangelion; in ogni caso, qui il vero punto di riferimento è proprio la creatività semi-impazzita (ma così toccante e densa di significazioni) targata Hideaki Anno_Studio Gainax, e non certamente, come è stato detto in modo troppo pigramente da molta critica, Hayao Miyazaki.
Anzi, Makoto Shinkai è proprio l’esatto opposto dell’Autore de La città incantata, perché se il Cinema di Miyazaki è un viaggio verso il subconscio (anche morale) della fantasia, l’attenzione di Shinkai è invece rivolta alla vita che non concede spazio ad altri mondi immaginari, anche se più volte confondente con un certo sognare che però è destinato a non avverarsi mai. Allora 5 centimeters per second è innanzitutto un film Emo. Depresso-depressissimo-deprimente, ma proprio per questo così specchio del nostro essere, perché non si tratta di dannato pessimismo, bensì di esagerazione emo-zionale, addirittura più forte dei melodrammi del classicismo, e per questo ancor più sorprendente e inimmaginabile per un territorio come quello dell’animazione.
L’amore eterno ed incondizionato, che come spesso accade è proprio quell’amore non corrisposto, se non addirittura mai dichiarato, perle e flussi di pensiero che come poesia incandescente, accompagnano i bellissimi disegni animatosi di tanto sentimento che rendono i protagonisti del film non poi così diversi dalla gioventù (dis)persa dell’Hong kong express Karwaiano, quindi nient’altro che angeli perduti, frammenti di noi stessi e dei nostri lati chiaroscuri, malinconici come i versi indescrivibili di una canzone visiva che sfonda l’anima per farla a pezzi e ricomporla con nuovi strati di (in)coscienza, Hey there Delilah what it’s like in New York city? ma anche e soprattutto Without you i’m nothing at all.
5 centimeters è un continuo attacco sentimentale a cui difficilmente si può resistere dall’essere avvolti e capovolti. Un avanzare bombardante di immagini deja vù perché (già) parte di vite sognate o sogni vissuti, quei treni che vanno avanti ed indietro ricordandoci sempre e comunque quella distanza incolmabile, il dolore a cui abbiamo dato il nome “Amore”, che il materialismo ha raso a suolo ma che per noi, la cui vita continua a pulsarci fra le vene, è seriamente tutto e la fine di tutto. Makoto Shinkai scava in ogni riflesso nascosto, affonda distruggendo le barriere di difesa, le sue immagini sono come un fiume infermabile di poetica bellezza color ciliegio e sapor dolce-amaro, con vette di termometro in alto quasi sempre: il punto morto non esiste, perché ogni sequenza è riflesso e riflessione, nonché bellezza estetica da osservare e contemplare; come si possano mettere in scena disegni così sofisticatamente dolci non ci è dato sapere, ma ancor più meraviglioso è tutto il senso di cui si infondono quelle immagini, mai formalmente fini a sé stesse, ma piene di vita e dolore, dolcezza e malinconia, saturazione indelebile del bianco e nero, senso di flash attuato e trattenuto, fermato nell’istante come attimo fuggente da baciare e con cui fare l’amore.
Come succede con i grandissimi film (e pochi, fra quelli degl’ultimi anni, hanno la stessa potenza di 5 centimeters per second), è quasi difficile stare lì ad assorbire determinate scene in quanto così forti e così cariche di calore ed enfasi suggestionante intere esami di coscienza e cinefilia. Il rischio è quello di un infarto causa stupore e meraviglia evocativa. Il bacio sotto l’albero, una delle scene d’amore più belle mai viste, il momento più felice della vita del protagonista Takaki, ma anche irrimediabilmente e automaticamente il più triste, in quanto consapevolezza dello sfuggire di un sentimento come l’Amore. Shinkai, esattamente come l’Hosada di The girl who leapt through time, ci mostra anche un trattato grigio sulla diegesi e sul tempo, sul suo sfuggirci continuamente, sul suo essere finito nello stesso istante in cui si compie. Per questo la prima parte del film è esattamente un andare avanti e indietro nel tempo, un vivere il presente per poi scavare nella memoria, con quei flash back di un “come” che ancora non riesce a spiegarsi in un “cosa”. Vari pezzi di puzzle, che ritornati scorrevoli nella seconda parte, si disgregano nuovamente nel finale, con in sfondo il bellissimo One more time, one more chance di Masayoshi Yamazaki (un classico della musica broken-hearted giapponese), in un rimescolarsi di tutti quei frammenti del passato-presente che ormai è condannato anche futuro, con ancora, alla fine, un’ultima e unica certezza non detta: “Ancora ti amo, e per sempre continuerò ad amarti”.
Un pezzo di cuore si incrina, e 5 centimeters per second sale nel nostro Olimpo dei film intoccabili perché troppo superiore rispetto tutto e tutti.
Grazie, Makoto Shinkai. Grazie di cuore.

 

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(27/01/08)

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