IO NON SONO QUI di Todd Haynes
REGIA: Todd Haynes
SCENEGGIATURA: Todd Haynes, Oren Moverman
CAST: Cate Blanchett, Heath Ledger, Charlotte Gainsbourg, Richard Gere
ANNO: 2007
VENEZIA 2007: SENZA APPUNTI SU I’M NOT THERE DI TODD HAYNES
Ancora – di nuovo – dio sia lodato – rock n’ roll. Fuori la sobrietà e la classicità formale e sirkiana di Far from heaven, e ritorno sui passi glitters and cigarettes di Velvet Goldmine, stavolta in modo ancor più esageratamente ed eccessivamente intrippato ed intrippante, masturbazione visiva tra le più efficaci e iper-potenti degl’ultimi anni, sguardo – metabolizzazione – ri-elaborazione – sputo – vomito – collasso di tutta la Storia del Cinema. Non semplice tripudio immaginifico, ma addirittura trattato antologico sulle e per le immagini, lo spazio e il tempo. Uno spezzare e ri-agganciare (anti)diegetico, powerful macedonia, piena (anti)esteticizzazione del Film(icizzarsi) ritornante in territorio anarchico, che già dai primissimi minuti unisce in un unico corpo diversi colori e (im)media(rsi), dove il trapasso del bianco e nero si eclissa nel finto documentario rock, dove il classico hollywoodiano abbraccia ed espelle il modernismo godardiano, senza lasciare indietro l’arte contemporanea e visiva, ma anche le attrazioni di Ejzenstejn, del Cinema (delle immagini) che riacquista con la forza bruta uno spazio (e contenitore) di ideazioni più che idee, attuazioni più che attualità, controcoglioni più che tutto il resto.
Rimbaud che diventa finto (vero) Dylan, ma anche Billy the Kid, o un bambino nero che sogna la musica; il corpo che si suddivide in diverse entità convergenti, la cui stessa idea basterebbe a fare di I’m not there un biopic superiore e fuorissimo dal comune, in quanto più che impuntarsi su un qualcosa di scelto (o meno scelto), preferisce invece disgregarsi in atomi che diventano ricordi o sogni o visioni o viaggi in acido quelchesia, dunque in frammenti di attimi ed enfasi vissuta (o meno vissuta), a volte limpida e chiara come la normalizzazione dei sistemi formali classici richiede, a volte semplicemente in onirica trasposizione figurat(iv)a ed immateriale, polvere d’oro sparsa negl’orizzonti e negl’occhi degli spettatori, inciecati dalla percezione, dai sensi, bombardati (troppo, per alcuni) di quell’arma potentissima che solamente il Cinema ha l’opportunità di usare in modo così consumante: la formazione audio-visiva. Che qui è al suo massimo procedere esagerativo, piena eruzione di immagini – frame – musica appalla – che trapela ecs tasis che è anche purificazione (eiaculazione) in ogni singola scena, e dunque precocità ogni volta, ma anche energia alla viagra, attacco e perdita – azione e consumazione – inizio e fine.
Molti si sono chiesti che diavolo si fosse fumato Todd Haynes, ma ve lo dice il fottuto sottoscritto: quel genio vive in allucinazione continua, dunque, in cinematografarsi continuo. In altre dimensioni spazio temporali, probabilmente non è nemmeno un essere umano (magari è semplicemente quella navicella volante di Velvet Goldmine), che qui si lascia esplodere-espandere in un uragano sensitivo che ha dalla sua la completezza dell’incompleto, l’unione della disgregazione. Probabilmente I’m not there nemmeno è Cinema Narrativo (seppur narri una Storia anche abbastanza “semplice” da seguire e capire), perché appunto concepito per essere qualcosa di isolato da una Narrazione, che deve necessariamente essere trasfigurazione, immaterializzazione, spiritualizzazione, enfatizzazione: di nuovo, è un Sogno ad occhi semi-aperti, continui elettroshock (del cazzo, direbbe Brian Slade), continua immaginazione – sostituzione della realtà con la finzione, o più che finzione, dell’autenticità di un’astrazione. Dove tutto è niente e niente può essere seriamente tutto, e una donna (e che donna: Cate Blanchett), può essere veramente Bob Dylan (o quel che ne rimane(va)) , perché in dimensioni di questo genere nemmeno la barriera sessuale ha più importanza, in questo posto sognato dove puoi rinunciare a chiederti chi sei e qual è il tuo ruolo nel mondo, in questo posto sognato dove non devi nemmeno più preoccuparti ad allacciarti le scarpe.
Haynes che come un Godard terroristico semi dio del post-post moderno, torna a liberare l’immagine e gli espedienti narrativi dalle loro catene, tutto a ritmo di rock n’ roll, perché solamente con esso si può trovare cotanta libertà, cotanta am(at)or(i)alità e fascino tanto coinvolgente quanto suicida ed esageratamente piena e vissuta. Per questo non esserci ma esserci (ontologia della Storia del Cinema da quando è nato), sospendersi nel viaggio che è puro scheletro di ciò che siamo eravamo saremo – ieri oggi domani – forse si forse mai più – feeling like a motherfuck, the only way is down from here, oh, oh, oh. Girls in the back.