Ritornare (d)a David Cronenberg
Cinefilia e nerding. Cinefilia è nerding. Nell’immaginare che la tastiera adesso diventi un insetto che blocchi le dita, le mani. Nello sprofondare nello schermo molle. Nell’infilarsi le vhs nella pancia. Innestarsi i film sotto la pelle. E mutare, ad ogni pellicola, ad ogni file, consapevoli che anche uno sguardo tra lui e lei è una metamorfosi. Gli imitatori, gli ispirati, gli epigoni e quelli che non c’entrano niente: fare il giro del mondo, nei vicoli più schifosi e ritornare all’origine, all’educazione primordiale, a David Cronenberg, le cui immagini si cancellerebbero solo con l’acido, ma dando luogo a cicatrici estese a loro volta cronenberghiane. Portata a suo nome la necessità ed aldilà del modello stesso, non se n’è mai andato: anche adesso che da dieci anni i suoi film sembrano “(dire) altro” la sua fotograficità è quella di un muscolo in tensione, pronto a sfibrarsi o a venir invaso. Anni di mutismo volontario, a cui Cosmopolis potrebbe porre (un con)fine, dopola necrosi di A dangerous method. Da Cannes ci dicono che suo figlio ha ereditato fin troppo, che l’orrore è celato nei virtuosismi di Garrone, che il Dracula di Argento sembra girato in un campo nomadi alle porte sud di Milano (ma con un ottimo 3D). E noi allora torniamo alle origini (di un regista, di una rivista), allo sguardo tripartito biologico e biografico dato da Davide Ticchi, nell’infatuazione incondizionata verso i margini iniziali di una nuova che forse adesso non può essere nè carne(fice) nè p(a)s(t)iche, verso la covata malefica di un autore, attendendo venerdì.
DAVID CRONENBERG passo 1 – Fusis kai logos
DAVID CRONENBERG passo 2 – Appendic(it)e futurista
DAVID CRONENBERG passo 3 – Il nuovo cinema infettivo