LES LYONNAIS di Olivier Marchal
REGIA: Olivier Marchal
SCENEGGIATURA: Olivier Marchal
CAST: Gerard Lanvin, Tcheky Karyo, Daniel Duval, Dimitri Storoge
NAZIONALITÀ: Francia
ANNO: 2011
COME DIO COMANDA
Al timore è permesso il tempo dei titoli di testa. Romanzo criminale avrà si conquistato il pubblico francese, ma non ha creato epigoni d’oltralpe, bensì seguaci talmente scaltri e preparati da non incappare nei suoi stessi errori. Les Lyonnais conferma, qualora ce ne fosse bisogno, quanto Olivier Marchal sia regista dalla classe immensa, indiscutibile, lampante e cristallina: un Wambaugh specializzatosi alla scuola del polar che, nell’allestire la sua ultima fatica dietro la mdp, asciuga all’essenza il prototipo firmato Placido al fine di affrescare un dramma gangster di rara bellezza, universale e confezionato al cronometro. Les Lyonnais limita al minimo indispensabile le necessità storiche e “regionali”, non contemplando alcun antieroismo da rotocalco: i suoi interpreti vi arrivano vissuti, scavati nel viso, svuotati dall’interno, privi di sogni, segnati dalla vita, malinconicamente prossimi al traguardo della loro parabola criminale; mortali e traditori, si qualificano immediatamente come degni colleghi di una galleria di personaggi che, a partire da Gangster per arrivare al The Shield francese Braquo, rappresentano, passando per 36 e L’ultima missione, il biglietto da visita del loro autore, per la prima volta alla prese con una storia di criminali tout court, dove gli sbirri, corrotti e non, fanno appena capolino, decentrandosi dalle zone nobili della scena. Marchal consegna all’immortalità schermica un’autobiografica epopea di cronaca romanzata, schivando con successo la trappola della ricostruzione calligrafica: lo scheletro di Romanzo criminale affoga ben presto nel bicchier d’acqua del pretesto, tornando in superficie di tanto in tanto (i rimandi infantili o il sunto delle prime rapine, sintetizzate sulle note di Janis Joplin), appena il tempo di riprendere fiato per poi venir ricacciato giù: trascinato verso il fondo dalla zavorra di una poetica pronta a realizzarsi sul percorso inarrestabile di un vettore cinefilo, che alla tradizione francese unisce, senza dolore e maniera alcuna, lo Scorsese di Quei bravi ragazzi e il Coppola del primo Padrino. L’animo di Les Lyonnais continua, come del resto il cinema tutto di Olivier Marchal non ha mai nascosto di dichiarare, a considerare Melville come il proprio punto di non ritorno e, assieme a lui, i suoi outsider ligi e arresi ai doveri dell’amicizia virile e cameratesca, onore e onere che unisce in eterno patto di sangue chi si guadagna da vivere impugnando una arma da fuoco. Lì vanno rintracciati gli eredi iconografici di Momo e Serge, passato e presente di un’organizzazione criminale meticcia, franco-nomade, una volta sinonimo di terrore, ora alle prese con sotterranee faide interne, prologo di un inevitabile redde rationem morale: resa dei conti tra due vecchi uomini, non più immortali e invincibili. Les Lyonnais lavora di decoupage, cospargendo di colla a caldo il vigore di una regia che non può non ricordare Michael Mann nei suoi inserti action, alla metrica di un montaggio che fa del flashback componente essenziale dell’operazione, in quanto destinatario del prezioso compito di raccordare il passato al presente, senza che il primo si trasformi in fardello vintage buono solo per gli amanti estetici dei seventies; permettendo quindi che il cerchio temporale si chiuda, riaprendosi, ma nel migliore dei modi possibili, evitando il tranello della moda o dell’amarcord che tanto aveva appassionato Placido prima e Sollima figlio poi. Les Lyonnais è qualcosa di più rispetto a un semplice Nemico Pubblico alla Richet: teniamocelo stretto Olivier Marchal, film e serie tv alla mano uno dei pochissimi tutt’ora in grado di dirigere un crime movie come Dio comanda.