THE DIVIDE di Xavier Gens
REGIA: Xavier Gens
SCENEGGIATURA: Karl Mueller, Eron Sheean
CAST: Lauren German, Michael Biehn, Rosanna Arquette, Milo Ventimiglia, Michael Eklund
NAZIONALITÀ: Germania, USA, Canada
ANNO: 2011
DIETRO LA PORTA CHIUSA
Gruppo di estranei in un interno angusto, costretti a una convivenza forzata da circostanze estreme: da questo spunto ormai ampiamente sfruttato parte The Divide, pellicola del 2011 firmata dal francese Xavier Gens, già noto per il non eccelso e derivativo Frontiers (2007) e l’action-movie Hitman, dello stesso anno.
Il progetto è ambizioso, a partire dalla durata: 112 minuti per un film di genere sono inconsueti, se a ciò si aggiunge che il narrato si svolge in un’unica, claustrofobica ambientazione sotterranea; Gens dunque mira in alto, con l’autocompiacimento che gli è proprio, offrendo un risultato contraddittorio e altalenante. La prima parte della pellicola è dominata dal tedio, eccessivamente verbosa, e intrappolata in luoghi comuni verso i quali lo spettatore ha ormai sviluppato una sorta di allergia. Il blocco tematico del gruppo di condomini capeggiati dal manutentore dello stabile, il rude e brutale Mickey (ottima prova attoriale di Michael Biehn), che si rifugia nel sotterraneo a forza, accolto controvoglia dall’uomo, dopo che un’esplosione nucleare ha fatto tabula rasa di tutto ciò che sta attorno, rimanda inevitabilmente a classici come Dawn Of The Dead di Romero, dunque lo spettro del già visto è biglietto da visita stropicciato e poco invitante. Dopo l’impasse iniziale, The Divide si impenna verso la metà, in modo non graduale, di colpo: si passa così da una lentezza eccessiva a una bulimia visivo-narrativa nella quale si mescolano momenti decisamente riusciti, cadute vistose, stereotipi risaputi, buone delineazioni di alcuni personaggi contrapposte ad altre in cui i characters sono soltanto abbozzati. Tutto, e il contrario di tutto, in un bombardamento di immagini e situazioni che lascia storditi e perplessi al tempo stesso.
Gens è abile con la macchina da presa, e ne è ben consapevole: si pecca, come nel precedente Frontiers, di virtuosismo fine a se stesso, e talvolta di eccessiva frenesia ritmica, dovuta anche al montaggio, per altri versi egregio e sapiente, del suo collaboratore abituale Carlo Rizzo.
La pellicola presenta del resto innegabili pregi, dall’incantevole score classico, firmato da Jean-Pierre Taieb, passando per la come sempre magnifica fotografia di Laurent Barès, nome ormai affermato della nuova scena francese (Livide, La Meute), che dona il suo inconfondibile tocco, forse troppo patinato, ma affascinante nei toni cupi, quasi marcescenti, nei colori virati.
Dal punto di vista narrativo l’attenzione è focalizzata sul deterioramento, fisico e morale, dei personaggi, sull’abbruttimento derivante dalla cattività, sui rapporti di forza che, inevitabilmente, vengono a crearsi; quest’ultimo è argomento-trappola, in quanto già ampiamento illustrato dalla cinematografia. The Divide ne dà un punto di vista che risulta alterno, per alcuni versi originale e provocatorio, per altri legato a forme appartenenti a vecchi territori. Si assiste al passaggio di consegne della tirannia (per molti versi solo apparente) di Mickey a quella dei personaggi di Josh e Bobby, che da bulli diventano sadici sessuali, veri e propri mostri anche nel fisico, poiché le radiazioni sono penetrate nel rifugio provocando così una progressiva marcescenza dei corpi. Il discorso sull’uomo che diventa carnefice, tirando fuori il peggio di se stesso, è esasperato ai massimi livelli, privando i singoli caratteri delle sfumature necessarie, con figure spesso eccessivamente a tutto tondo: da Mickey, americano patriottico e razzista ma in fondo non così cattivo, fino a Eva (unica donna del gruppo insieme a Marilyn), personaggio troppo retto e lineare, passando per Sam, potenzialmente interessante ma rappresentato in modo confuso e superficiale. In Marilyn (una meravigliosamente sfatta Rosanna Arquette) ritroviamo una delle figure meglio delineate del film: madre di Wendi, la bambina che viene rapita in un momento narrativo poco credibile, risultando quasi estraneo al resto del plot, è donna fragile e senza dignità, vittima consenziente dei pesanti giochi sessuali dei due nuovi villains del gruppo.
Xavier Gens cerca lo shock facile, con sequenze piuttosto pesanti, alcune delle quali riuscite, altre troppo studiate e artificiose per convincere. The Divide si è in questo modo guadagnato aggettivi come “disturbante”, “difficilmente sopportabile”, e via discorrendo, riversando quindi il focus sulle dinamiche violente, quasi dimentico del fatto che, al di fuori di quel sotterraneo, c’è un mondo devastato: nessuno dei personaggi pare preoccuparsene, forse troppo infiammati dai loro impulsi.
Il finale è per certi versi prevedibile tuttavia, non privo di fascino.
Pellicola dunque dalle molte contraddizioni, eccessiva, ambiziosa, che può definirsi riuscita solo in parte. Tutto questo ricordando che il cinema realmente disturbante, e sincero nel suo intento, è ben altra cosa.