30TFF: THE LAND OF HOPE di Sion Sono
REGIA: Sion Sono
SCENEGGIATURA: Sion Sono
CAST: Isao Natsuyagi, Naoko Otani, Jun Murakami, Megumi Kagurazaka, Hikari Kajiwara
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, Giappone, Germania, Taiwan
ANNO: 2012
LA SOTTILE LINEA GIALLA
Nel corso della scorsa edizione del Torino Film Festival, il grande Sion Sono era stato, degnamente e doverosamente, omaggiato con una retrospettiva all’interno della sezione Rapporto Confidenziale, dando modo al pubblico di avvicinarsi ad un regista poco conosciuto dalle nostre parti. Ancora ebbri dalla splendida carrellata di opere presentate nel 2011, la manifestazione ci dona la nuova pellicola del cineasta nipponico, Kibô no kuni (The Land Of Hope il titolo internazionale) nella quale Sono ritorna, dopo il magnifico Himizu, a toccare il delicato tasto del disastro della centrale nucleare di Fukushima, causata dal terremoto e maremoto del Tōhoku l’11 Marzo del 2011, dunque vicinissima nel tempo e minaccia tangibile.
Il ritorno di un incubo in realtà mai cessato nella coscienza collettiva giapponese, indelebilmente segnata dagli olocausti di Hiroshima e Nagasaki, sempre presenti nella filmografia di una nazione troppo addolorata, seppur in dignitoso silenzio, per poter dimenticare.
The Land Of Hope è dunque strettamente legato alla pellicola precedente, non solo nelle tematiche ma in quanto inizio di un nuovo percorso stilistico e narrativo di Sion Sono, di cui si ricorderanno le opere più estreme e visionarie (Strange Circus, Suicide Club) nelle quali il cinema di Sono asseriva prepotentemente la sua unicità, passando da suggestioni erotico/perverse a pulsioni violente non represse, in un immaginario visivo completamente personale e spesso onirico.
Le due opere più recenti battezzano il passaggio ad una forma filmica apparentemente lineare, spogliandosi così degli (splendidi) eccessi che avevano finora caratterizzato la poetica del regista: The Land Of Hope è straordinario ritratto del dolore che permea l’anima Giapponese, narrato tramite la vicenda di due famiglie, gli Ono (composta dagli anziani genitori, il figlio Yoichi e sua moglie Izumi, in attesa di un bambino) e i Suzuki, una giovane coppia. Le loro tranquille esistenze vengono stravolte dall’esplosione di un reattore nucleare causata da un terremoto: l’abitazione degli Ono tuttavia, resta all’esterno, esattamente sul limite, dell’area di 20 km entro cui le autorità considerano necessaria l’evacuazione. La linea gialla che separa il territorio “sicuro” da quello che non lo è si colloca proprio davanti alla loro fattoria, escludendoli dalla zona a rischio: il padre ordina dunque al figlio e a sua moglie di lasciare Nagashima, affinchè non vengano contaminati dalle radiazioni, anche e soprattutto per il bene del bambino in arrivo. L’assurdità di quel confine, posto come se l’aria potesse mutare nel raggio di pochi metri, rappresenta l’ottusità grottesca di certe leggi, dunque un’ aspra critica nei confronti di un governo assente e incurante del proprio popolo.
Mitsuro Suzuki e la sua fidanzata Yoko si trovano costretti a lasciare Nagashima, iniziando così a vagare tra le rovine e i detriti, alla ricerca dei propri congiunti dispersi.
La famiglia Ono resta sola, isolata dai paletti che segnano la divisione tra le due aree, ma non perde la speranza, che è tema fondamentale del film: la decisione del capofamiglia rappresenta infatti la fiducia nel futuro, con una nuova vita che vedrà la luce e che dovrà crescere in un ambiente non contaminato. Il personaggio di Izumi assume dunque grande rilievo: donna in attesa, lontana da una Nagashima ormai bollata come luogo radioattivo e di conseguenza trattata, insieme al marito Yoichi, come un’appestata, “contagiata”, dunque oggetto di scherno. Izumi sviluppa una paura ossessiva delle radiazioni, la radiofobia, disturbo che affligge una fetta di popolazione giapponese: si scherma con mascherine e tute dotate di artigianali scafandri, isola la propria abitazione, mentre le autorità continuano a dire, mentendo, che non sussiste alcun pericolo.
The Land Of Hope traccia una netta linea divergente rispetto alle precedenti pellicole di Sion Sono, nelle quali il nucleo famigliare era spesso presentato in quanto malevolo, portatore di disgrazie, di nemesi che dai padri passavano ai figli: ora è proprio la famiglia a rappresentare la speranza, in un dramma senza disperazione, seppur a tratti sinceramente straziante. Il personaggio dell’anziano padre, tenace, coraggioso, dolcemente paziente con la moglie affetta da demenza senile, è caposaldo del film nel simboleggiare la fede nella propria stirpe, decidendo di restare a Nagashima poiché non vede un domani per sé e la sua consorte, passando così il testimone al nuovo ramo della sua famiglia.
Una messa in scena limpida ed un narrato estremamente sentito e commovente segnano così un mutamento fondamentale nella poetica di Sono, che diventa più matura, asciutta, priva di orpelli, al fine di lasciare campo libero ai propri straordinari personaggi.
Un’opera che racchiude momenti di intenso lirismo e poesia pura, nella quale l’Adagio della Sinfonia n. 10 di Gustav Mahler commenta le immagini in modo ideale, colonna sonora perfetta di un film che tocca le corde più profonde dell’anima.