CLOUD ATLAS di Lana Wachowski, Tom Tykwer, Andy Wachowski
REGIA: Lana Wachowski, Tom Tykwer, Andy Wachowski
SCENEGGIATURA: Lana Wachowski, Tom Tykwer, Andy Wachowski
CAST: Tom Hanks, Halle Berry, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Jim Sturgess, Bae Du-na, Ben Whishaw, James D’Arcy, Zhou Xun, Keith David, Susan Sarandon, Hugh Grant
NAZIONALITÀ: Germania, USA
ANNO: 2012
USCITA: 10 gennaio 2013
IL SENTIERO DEI DESTINI CHE SI BIFORCANO
“Lo stato transitorio che implica e rappresenta una molteplicità nell’unità o nella sostanza semplice, altro non è che ciò che si chiama percezione, che dobbiamo distinguere dall’appercezione o coscienza.”
Gottfried Wilhelm von Leibniz, Monadologia
“Per le sue passate o future virtù, ogni uomo è creditore di ogni bontà, ma anche d’ogni tradimento, per le sue infamie del passato o del futuro”.
Jorge Luis Borges, L’Immortale (ne L’Aleph)
“Come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già prima. La prima riga della prima pagina di ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori del libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo”.
Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore
Nella serie di visioni, nel magma di storie su schermo, nel fiume di immagini proiettate in una sala buia che ci capitano di fronte con basse o alte frequenze a seconda delle circostanze, a volte capita di sentire l’esigenza di una categorizzazione. Mettere ordine nel disordine, contrastare almeno per un attimo l’entropia e la sua espansione, relegare il mondo al di fuori di un recinto sul quale abbiamo un controllo, fosse anche solo mentale, ideale: chi non è mai stato tentato? Chi scrive, poiché è un peccatore, vi è stato tentato più volte. E questa volta, quella che ha a che fare con Cloud Atlas, è una di quelle.
Proprio come le aspirazioni personali dividono gli individui tra chi preferisce guardare e chi essere guardato, proprio come per il cinema ci sono un Autore e uno Spettatore (e per la letteratura uno Scrittore e un Lettore), i film si dividono infatti in due categorie: i film che sono contenuti da qualcosa, sia esso un contesto, un tema, una poetica, uno stile, quelli che si accontentano di un aspetto, di una versione, di una storia, e quelli che invece, qualcosa lo contengono: questi secondi sono i film-contenitore, quelli in cui si specchia il riverbero di qualcosa di più che la semplice polvere di alogenuri d’argento del vecchio pellicolare o l’accoppiamento di semiconduttori del contemporaneo frammentato del digitale. Contenitori di storie, contenitori di mondi, monadi in percezione, l’Aleph inventato e mistificato da Borges: ovvero “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”, quello che lo scrittore Daneri ha avuto l’inestimabile privilegio di poter chiamare per nome, trovare, vedere, sperimentare e capire, e solo perché potesse finire il suo Libro, la sua Opera, la sua Commedia: Cloud Atlas è fatto di questa pasta, è un film-contenitore. Non che si tratti di una categoria affollata, intendiamoci, ché del genere se ne vede comparire uno da qualche parte ogni manciata di anni, e puntualmente viene malcagato o rigettato senza troppi complimenti prima di tutto dagli addetti ai lavori, eppure poi sono questi i film che rimangono in testa, giorni, mesi e anni, questi i film che non ti stanchi di rivedere: sono gli L’Albero della Vita, gli Un’Altra Giovinezza, i Synecdoche, New York, i Mr. Nobody, che passano come meteore foriere di vita extraterrestre sul suolo arido del deserto dell’intrattenimento, di batteri in grado di distruggere e purificare la nostra immaginazione addormentata da ambizioni (artistiche, vedute) troppo piccole anche per una formichina.
In Cloud Atlas l’ambizione si fa allora universale, il racconto collettivo, e i protagonisti non sono più persone, ma concetti: i due concetti del Tempo e dell’Amore; la materia, pur suddivisa in sei episodi ognuno distinto da un epoca e un drappello di personaggi-tipi ricorrenti, non sono storie, ma una sola storia: la Storia; e allora anche lo stile non poteva che essere quello dell’omaggio, quello del rivisto, quello del non originale, quello che usa pezzi di cinema per parlare con un linguaggio solo: il Cinema, appunto
Storie vissute si intrecciano, personaggi di déjà vu in acido mutano e si combinano, regole vengono tracciate e infrante, sentieri si intrecciano in destini incorniciati in quadri più grandi di una singola vita, di una sola epoca, temi/spunti/idee si affastellano seguendo un ordine imperscrutabile e meravigliosamente, seppur ostinatamente, casuale: il disastro ecologico, la schiavitù, l’evoluzione della lingua, l’invecchiamento della società, la reincarnazione, la religione, il razzismo, l’avidità, le leggi del mare, la tentazione, l’amore (fuori e dentro il genere), la morte, la resistenza (la teologia della liberazione), la lotta contro la consuetudine, le teorie del tutto, l’evoluzionismo, il pericolo nucleare, la guerra, il karma, il totalitarismo storico e futuro, l’industria dell’entertainment, il giudizio critico ne i suoi canoni, la creazione artistica, il rapporto allievo-maestro, i campi di concentramento, la fantascienza distopica, i viaggi nello spazio, la famiglia, la violenza… potrei continuare, ma meglio chiudere riassumendo tutto in un: la biblioteca di Babele, insomma, vive.
Nata a bagno nel Calvino (Italo) di Se una Notte d’Inverno un Viaggiatore, la sinfonia combinatorio-statistica del trio Wachowski bros – Tykwer ha l’andamento sbieco, ma implacabile, di una dinamica di esplosione (di stella) e implosione (di buco nero), e tiene incollati allo schermo lasciando in eredità una pallina di riflessa luce blu, lontana, nel cielo notturno, piccola come l’Aleph eppure così densa di senso, di cose, di un disegno corale che è consolatorio, quanto terribile, scoprire.