JOHN DIES AT THE END di Don Coscarelli

REGIA: Don Coscarelli
SCENEGGIATURA: Don Coscarelli
CAST: Chase Williamson, Rob Mayes, Paul Giamatti, Clancy Brown
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012

THE PERFECT DRUG

Ad Hollywood esiste una dicotomia fondamentale che distingue chi si trova dietro la macchina da presa: quella tra gli shooters ed i registi. I primi sono coloro che si limitano a filmare pedissequamente ciò che gli viene proposto da uno script. I secondi coloro che utilizzano una sceneggiatura come mezzo e fine per manifestare passione, energia, mestiere e creatività. I primi sono quelli che regalano al pubblico ciò che John Carpenter ha, con estrema efficacia, definito film-sega, che sarebbero il prodotto di chi si limita a masturbarsi di fronte ad una bella e disponibile donna nuda (metafora “carpenteriana” che sta per un film da dirigere). I secondi, al contrario,  sono quelli che con quella donna ci fanno anche l’amore con fantasia e coinvolgimento. I primi girano sciatti remake di pellicole horror entrate nel mito, i secondi prendono una storia ideata e pubblicata online da David Wong, la personalizzano utilizzando un po’ di farina del proprio sacco e ne tirano fuori un film come John dies at the end. Sgomberiamo, pertanto, il campo da eventuali incertezze: Don Coscarelli non è mai stato un onanista cinematografico. Lo si era intuito seguendo la sua personalissima quadrilogia orrorifica di Phantasm e la parentesi rappresentata dal primo episodio della serie Masters of Horror, Incident On and Off a Mountain Road, e se ne era avuta la definitiva certezza dopo il bellissimo Bubba Ho-Tep. Oggi, a distanza di quasi 10 anni dal summenzionato stracult, lo si può tranquillamente ribadire grazie a John dies at the end. Film dall’anima anarchica, giusto amalagama tra registro horror, da avventura sci-fi e commedia. Un trip lisergico in cui si alternano illogicità narrative a sani momenti ironici ed autoironici, macabre visioni alla Lovecraft a fulminanti dialoghi da commedia nera, parentesi splatter a parodie fumettistiche. E’ un bel minestrone weird quello offerto da Coscarelli che non ha pudore di autodefinirsi “una storia che farebbe venire il mal di testa a Kafka”. E che molto probabilmente affascinerebbe il John Carpenter di Grosso guaio a Chinatown di cui si può considerare una versione moderna visti i numerosi punti di contatto: la presenza di antieroi destinati a salvare il mondo, la voglia di non prendersi troppo sul serio,  il gusto per la battute caustiche e il mood generale a metà tra inquietudine e cazzeggio. Film non necessariamente perfetti, con difetti ed  effetti speciali scadenti, realizzati con un budget limitato che, però, si permettono il lusso di fregarsene allegramente della loro natura imperfetta perchè il loro scopo non è quello di mostrare i muscoli con una realizzazione tecnica da blockbuster, bensì quello di catturare grazie al ritmo incalzante, all’atmosfera avvolgente, ai personaggi carismatici e strambi, alle trovate stralunate ed a momenti spiazzanti da occhi sbarrati e mascella per terra. Un vero e proprio spasso. John dies at the end non è macelleria e sangue che schizza ad ogni inquadratura, non è un teen horror di ultima generazione, non è un continuo tuffo al cuore per via del mostro che sbuca all’improvviso dal buio. E’ puro, onesto, sano intrattenimento che ti prende e ti porta via lasciandosi scoprire piano piano nel suo labirintico svolgimento: vai dritto e trovi una parabola sull’utilizzo dell’ascia contro orrende creature, svolti a destra ed uno dei protagonisti muore , vai a sinistra e lo vedi rinascere, prosegui ed un hot dog diventa un cellulare, torni indietro e delle pasticche si trasformano in mosche e così via per circa un’ora e quaranta tra una una sorpresa ed un’invenzione fantastica dopo l’altra. Alla fin fine trovare l’uscita del labirinto non sarà stato lo scopo principale né la cosa più importante da fare: il godimento lo si sarà ritrovato nell’avere vissuto il film senza un approccio troppo cerebrale. Anche se un senso c’è e non è poi così difficile da cogliere. La trama narra dell’inchiesta condotta da un giornalista-scrittore, Arnie, il quale scopre che due ragazzotti, di nome David e John, si applicano come acchiappafantasmi grazie all’assunzione di una droga denominata “salsa di soia” che ha il potere di rivelare la presenza, nel pianeta terra, di invasori venuti da altri mondi. Una sostanza senziente che può uccidere come, allo stesso tempo, aprire le porte della percezione nella mente di chi l’assume. Da qui l’inizio di una missione salvifica per il bene della nostra popolazione e di quella di altri universi paralleli altrettanto in pericolo. I due personaggi principali sono interpretati dai due semisconosciuti Chase Williamson e Rob Mayes che se la cavano egregiamente, Paul Giamatti impreziosisce il film sia nelle vesti di produttore esecutivo che di attore nel ruolo del giornalista, l’imponente Clancy Brown si distingue nella parte del santone-mentalista Dr. Marconi e l’attore feticcio del regista, Angus Scrimm, partecipa con un cameo da risata assicurata. Poi c’è tanto tanto altro. Coscarelli è il capo spacciatore ideale di tutta questa combriccola: prende il puzzle costruito da David Wong, lo immerge nell’acido e ce lo ripropone, invitandoci a far sciogliere lentamente ogni pezzo sotto la lingua. Non sempre le droghe sono da condannare.

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