NOI SIAMO INFINITO (THE PERKS OF BEING A WALLFLOWER) di Stephen Chbosky
REGIA. Stephen Chbosky
SCENEGGIATURA: Stephen Chbosky
CAST: Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Miller, Paul Rudd
NAZIONALIT: USA
ANNO: 2012
TITOLO ORIGINALE: The perks of being a wallflower
USCITA: 14 febbraio 2013
“WELCOME TO THE ISLAND OF THE MISFIT TOYS…”
A ripensarci, sembra si tratti di un film “leggero” che tratta di un ragazzo introverso e timido e di come al liceo <<il primo anno è dura, ma scopri davvero te stesso>>. Poi una consapevolezza ci avvolge, suggeritaci dal film ma anche tornata alla mente dall’intimo dei ricordi adolescenziali, un’illuminazione gradevole e dolce, ma anche è più rumorosa di una bomba, dura da digerire: comprendere che il dolore vero è spesso nascosto, si cerca molte volte di annegarlo nel profondo di noi stessi e quando lo si fa è perché è troppo grande per tenerlo a galla. A ripensarci, così, a mente fredda, si sente come un peso sullo stomaco. E ci si sente anche un po’ male, perché introversi e timidi lo si è stati un po’ tutti e forse lo siamo ancora.
Inserito in quella lunga schiera di film generazionali che va da L’Attimo fuggente a L’Appartamento Spagnolo fino al nostrano Notte prima degli esami, The Perks of Being a Wallflower spicca decisamente, come una voce fuori dal coro. Non perché si differenzi enormemente dal genere sopracitato, almeno non nei suoi temi caratteristici, ma perché una strana ed irripetibile alchimia di sostanze, un particolare impasto di ingredienti, lo rendono un prodotto (quasi) unico. Innanzitutto la derivazione letteraria del film: il romanzo omonimo (in Usa, qui è conosciuto col titolo Ragazzo da parete) di Stephen Chbosky, ormai cult americano del 1999, criticato per temi come l’omosessualità adolescenziale, le droghe e il sesso. E in effetti, dopo aver visto il film si capisce perché la comunità di lettori americani abbia discusso l’opera di Chbosky: ad una prima occhiata può sembrare un soggetto alla John Hughes del Breakfast Club con l’aggiunta di qualche elemento di spiazzante durezza alla Will Hunting – Genio Ribelle. Oppure potrebbe somigliare ad Alta fedeltà di Stephen Frears o ad un’altra opera di Nick Hornby, con discutibili deviazioni e squisiti riferimenti letterari e musicali a tutti woofer.
Il fatto è che questa spiazzante durezza è proprio la cifra stilistica del film, diretto e sceneggiato dallo stesso Chbosky; come per dire che nessun altro come lui avrebbe potuto portare al cinema la propria toccante storia d’introversione. Il giovanissimo protagonista Charlie, interpretato meravigliosamente da Logan Lerman, è un ragazzo intelligente, aspira a diventare scrittore, proprio come gli suggeriva sua zia Helen ed è desideroso di imparare; il liceo e il cambiamento che questo comporta però lo spaventano: scrive regolarmente le sue ansie e preoccupazioni ad un anonimo “amico” che per tutta la durata del film lo aiuterà a guardarsi dentro, come se Charlie scrivesse su di uno specchio o direttamente a se stesso. Inserirsi in quel mondo arrogante, saccente e nuovissimo non è facile senza un amico, specialmente se la sua “persona preferita in assoluto”, zia Helen, è scomparsa qualche anno prima, segnando definitivamente la sua vita. Ed è così che Charlie stabilisce un rapporto speciale col suo professore di inglese, Mr. Anderson (Paul Rudd), ma le cose cambieranno davvero quando conosce Patrick (un Ezra Miller da menzione speciale) e Sam (Emma Watson, che inizia a trovarsi graziosamente nei panni dell’attrice e non solamente in quelli di Hermione Granger). I due sono fratellastri, sono all’ultimo anno di liceo e sono coraggiosi, disponibili e anticonformisti; si accorgono subito di questo “ragazzo da parete”, di questo ragazzo-tappezzeria che se ne sta appiccicato ai muri durante le feste e lo trascinano in un turbine di esperienze, di sensazioni e di emozioni.
E allora giù con la “musica buona”, con il suono sporco del vinile, con i festini, la droga e l’alcol e giù contro quell’ipocrisia che uniforma vigliaccamente gli animi degli “altri”. Quell’ipocrisia impaurita, quella infantile “repulsione” della debolezza che abita nel fidanzato segreto di Patrick, Brad (Johnny Simmons), che lo frequenta di notte e che alla luce del sole lo respinge. Ma le nuove amicizie portano anche nuovi amori: Charlie è attratto da Sam ma finisce a stare con una sua amica che mal sopporta, sottolineando quella differenza tra tollerare e Desiderare che spesso caratterizza i rapporti di coppia. Quello di Charlie però è amore vero, e il regista decide di marcarlo con un efficace parallelismo tra il personaggio di Sam e quello della zia Helen, la sua “persona preferita”. Sono memorabili le riflessioni di Charlie su come due persone legate indissolubilmente finiscano per essere separate, almeno per quello che riguarda l’Amore con la a maiuscola. In un certo senso, poco male: Charlie scopre che avere degli amici e vivere con loro ogni esperienza ci restituisce quello che ci è stato tolto, ci fa respirare profondamente ed ecco che non sentiamo più quel peso sullo stomaco. Ecco che il dolore insopportabile che tentavamo di affogare non solo sale a galla, ma ora non ci fa più paura, siamo in grado di affrontarlo, di guardarlo negli occhi. “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso” diceva John Donne, appartenere a qualcosa ci rende infiniti, forti, ci fa sentire parte del tutto, possiamo essere eroi per un giorno come dice la canzone di David Bowie, ed è una consapevolezza che ci scuote da dentro, specie se siamo dei “ragazzi da parete”. Noi siamo infinito, questo film ce lo ricorda.