THE HOST di Andrew Niccol
REGIA: Andrew Niccol
SCENEGGIATURA: Andrew Niccol, Stephenie Meyer
CAST: Saoirse Ronan, Diane Kruger, William Hurt, Jake Abel, Max Irons, Chandler Chanterbury
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013
USCITA: 28 Marzo 2013
LA SIGNORA AMMAZZATUTTI
Stephenie Meyer si conferma contaminatrice fecale, iettatrice di sventure cinematografiche, dispensatrice di piattezza narrativa e piattume emotivo. E anche un regista solido e saldo come Andrew Niccol non sopravvive all’ascendente deleterio di tale rullo compressore: perché in The host, gli spunti in potenza per un ottimale amalgama niccoliano ci sono (la perfezione dell’esterno e dell’estetica come involucro anestetizzante, il dualismo osmotico della natura umana, l’ambiguità dell’amore (per il) sintetico, la convivenza fra nuove razze, la dispersione dell’individualità in future distopie dispotiche) ma si accartocciano sotto l’incudine meyeriana in atto. L’ambientazione sci-fi prepuberale è difatti puro pretesto per imboccare l’ormonella del target (esempio lampante i pastrugnamenti di entrambi i toy boys di turno per salvare la pedante e petulante voce off, di cui avremmo volentieri fatto a meno): Twilight è dietro l’angolo, sotto gli specchi scomponibili e girevoli del quadrato sentimentale, tra le pulsioni vogliose di lei e le ritrosie disinteressate (e implausibili) di lui. E proprio come nella precedente saga (di cui si sente l’immediato bisogno di colmare il vuoto, considerato l’annuncio trionfale del seguito de L’ospite), gli eventi si succedono trascinati unicamente dalla spinta dell’accumulo, scambiando la quantità di informazioni con la necessità e la gradualità qualitativa dell’evoluzione interna (dopo uno scambio di borracce ci si ama, dopo il ricordo di un bacio si tradisce la propria specie, dopo gli aneddoti di una sera si ottiene il lasciapassare della comunità), privando lo sviluppo di spina dorsale e concludendo con un epilogo oltremodo posticcio. E il tutto sembra scritto da un’adolescente in calore appassionata di Mistero.
Nel prefinale l’aliena(ta) enfant prodige Saoirse Ronan viene incastonata in un primo piano senza stacchi che è unico vero squarcio sul futuro, ovvero la (ennesima) conferma della grande attrice che diventerà; questo scricciolo etereo ingurgita in due minuti tutte le lagnose cagne maledette kristenstewartiane. Ma non basta a salvare una pellicola inebetita ed infartata da svenevoli scempiaggini, un ritmo catalettico, una sceneggiatura raffazzonata e inverosimile, una regia statica sia quando la location è la scarna e glaciale struttura di lavoro e guarigione della Anime, sia quando si setta in mezzo ad un rifugio desertico che pare un ritorno alle origini fondanti del mito americano, con tanto di boss/cowboy che sventaglia il fucile proclamando la ripartenza dalla dittatura.
The host si prende i suoi tempi (morti) a svantaggio della comune decenza e oltre il limite dell’umana sopportazione: e che lo script sia appannaggio equamente della Meyer e di Niccol stesso non fa che aumentare l’amarezza, sancendo una (speriamo passeggera) involuzione di lui e una (crediamo irreversibile) stasi di lei.