THE BAY di Barry Levinson

REGIA: Barry Levinson
SCENEGGIATURA: Barry Levinson, Michael Wallach
CAST: Kether Donohue, Kristen Connoly, Will Rogers, Frank Deal, Robert C. Treveiler
NAZIONALITA’: USA
ANNO: 2012
USCITA: 6 Giugno 2013
 

FISH DON’T BITE FISH

Mai fidarsi delle apparenze: se a primo acchito questo The Bay può sembrare l’ennesimo e inutile mockumentary, filone ormai esauritosi da tempo in pellicole-fotocopia che provocano più noia che paura, nel corso della visione ci si rende conto che un regista come Barry Levinson (Rain Man, Sleepers) e una sceneggiatura robusta, possono fare la differenza. E una gran differenza, poiché The Bay non è soltanto ben scritto ed egregiamente realizzato, ma spaventa sul serio, nel mostrare qualcosa che potrebbe capitare realmente, illustrandone cause, conseguenze e soprattutto colpe. Il coinvolgimento emotivo è una delle chiavi della riuscita di questo finto-documentario, che si snoda sul racconto di Donna (ottima Kether Donohue), giovane aspirante giornalista che nel corso di quello che sembrava un servizio qualsiasi, girato in un festoso 4 Luglio a Claridge, cittadina balneare del Maryland, assiste all’esplodere di un’epidemia tanto cruenta quanto apparentemente inspiegabile. La ragazza racconta la sua esperienza davanti alla macchina da presa, sottolineandone gli aspetti umani e traumatici dunque creando un filo diretto con lo spettatore, nel portarlo immediatamente all’interno della vicenda tramite un legame empatico che diventerà sempre più forte nel corso della narrazione.

La maestria di Levinson si ritrova nel saper evitare le trappole più comuni di questa tipologia filmica, ossia la monotonia del plot e la trascuratezza formale. Un montaggio sapiente (a opera di Aaron Yanes), scandisce alla perfezione il racconto, offrendo i punti di vista di diversi personaggi, e l’uso della camera a mano è intelligentemente alternato a riprese tradizionali, stando dunque alla larga da quell’effetto “mal di mare” che spesso inficia i fake documentaries. Donna è spettatrice impotente di ciò che si sta consumando, ed è solo parte di un racconto che diventa corale, una macrostoria che si frammenta efficacemente in episodi sparsi, conservando comunque una buona compattezza ed aumentando la tensione emozionale. A partire dalla corpulenta figura femminile che, nel corso della fiera, comincia a urlare in mezzo alla folla, passando per la ragazzina contagiata che si tiene in contatto con l’amica tramite videochiamata, poiché è rimasta sola e ha paura,  fino a quella che è una delle vicende centrali, ossia il viaggio in barca, verso Claridge, di una giovane coppia, Alex e Stephanie, e il loro bambino, ogni parte del racconto riesce a immergere chi guarda in ciò che viene mostrato. Le sequenze sulla barca hanno la funzione di stacco dal tumulto della baia, creando un’ inquietudine ancora più accentuata nel mostrare una famigliola del tutto ignara di quello a cui stanno andando incontro.

Epidemia inconsueta, poiché causata da organismi mutanti, gli isopodi, che divorano i corpi dall’interno: la partecipazione dello spettatore diventa coinvolgimento in prima persona, al punto da sentirseli quasi camminare addosso. Levinson trascina letteralmente all’interno del film, causando ansia e angoscia per un orrore reale e soprattutto, possibile.

The Bay ha un forte sottotesto sovversivo, a partire dalla scelta di collocare la vicenda nel corso della festa del 4 Luglio, giornata chiave del sentire patriottico americano: nel bel mezzo di elezioni di Miss di paese e gare di abbuffate si manifesta l’orrore, tra conati di vomito, sangue, e morti improvvise. Il regista gioca sul contrasto tra immagini fintamente idilliache e la voce off di Donna che narra di come tutto sia stato insabbiato, nascosto, non solo dai poteri locali ma da piani ben più alti; dall’allevamento di polli che getta gli ecrementi in mare fino alla Guardia Nazionale che coprì le prime avvisaglie “per non danneggiare il turismo della costa”, passando per un sindaco viscido e calcolatore, si assiste a un crescendo di colpe e responsabilità, dando così vita a un’accusa sferzante verso un sistema basato sulla manipolazione e la menzogna. Il messaggio ecologista riesce a risultare non banale e telefonato, come invece accade spesso in altre pellicole, poiché ben dosato, in un film che opta per la forma espressiva del bombardamente di immagini, sempre più dure e serrate nel corso del racconto.

Una piacevole sorpresa, e un colpo di coda da parte di Levinson, solitamente avvezzo a storie più convenzionali; non si può fare a meno di riflettere su ciò che scorre sullo schermo e, soprattutto, ci si ricorderà del film al primo bagno in mare: la finzione riesce dunque a lasciare una traccia di paura nel reale, caratteristica primaria di ogni horror che si rispetti.

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