BURIED – SEPOLTO di Rodrigo Cortes
REGIA: Rodrigo Cortes
SCENEGGIATURA: Chris Sparling
CAST: Ryan Reynolds
ANNO: 2010
CLESSIDRA A PROVA DI SABBIA
Mai confidare nei fenomeni pubblicitari, nei tam tam pronosticanti il miracolo: il più delle volte si rischia di rimanere delusi. Buried è lo strillone da cartellone, truffa orchestrata ad arte, bidone spacciato per chissà cosa, un altro Paranormal Activity; trappola cinematografica dove, registicamente parlando, è semplicissimo cascare, almeno quando l’imperativo corrisponde al lavorare solo ed esclusivamente in sottrazione. Rodrigo Cortes, come se in mano avesse un piede di porco e non una macchina da presa, forza i margini temporali di un testo probabilmente adatto al cortometraggio, ma lontano mille miglia dalle dinamiche e soprattutto dalle regole filmiche: monoprospettico e rozzo, l’esperimento Buried resta schiacciato nell’angusto spazio della sua autoimposta claustrofobia, soffocando gusto e pazienza di chi guarda non meno di come farebbe un porno diretto con svogliatezza, dove il montaggio è miraggio irraggiungibile e la macchina da presa procede convinta nell’ignorare qualsiasi posizione che non sia di base o partenza. Esagerata e controproducente, l’onda lunga del Sundance ha caricato la pellicola di aspettative più grandi di lei, praticamente impossibili da sopportare o mantenere. Tanti, troppi e illustri i nomi e i paragoni scomodati per sostenerla: dal sogno hitchcockiano di girare un film interamente ambientato in una cabina telefonica alla presa diretta de La parola ai giurati, fino ad arrivare al più recenteLebanon. Risultato? Tanto fumo e sul piatto la porzione minima e bruciacchiata di arrosto. A voler conferire all’operazione molta più importanza di quella che realmente meriterebbe in sede di analisi critica, si potrebbe al massimo scomodare il paragone, ingeneroso, con Grave Danger: incursione tarantiniana nella serialità di CSI. Altro format(o), ma soprattutto tutt’altra lente prospettica, perché ciò che veramente danneggia il prodotto Buried è la sua cocciuta convinzione che non possa esistere nulla di sperimentalmente interessante rispetto a ciò che è stato scelto come unico ed esclusivo campo visivo. Cortes difetta in modestia, si concentra sul “dentro” senza prendere in minima considerazione l’opzione del fuori. A farne le spese, naturalmente, è lo spettatore: soffocato da una suspense che prometteva soltanto di lasciarlo senza fiato. Buried, più che privare del respiro, annulla qualsivoglia curiosità o entusiasmo di partenza con una messa in scena sciatta, resa ancor più insopportabile da un messaggio di fondo immaturo, che spara nel mucchio senza mai ferire nessuno (chi è il colpevole? I terroristi? Le multinazionali del trasporto? I servizi segreti americani?), finendo per costruire una clessidra a prova di sabbia, all’interno della quale il tempo non sembra passare mai. Est modus in rebus sosteneva Orazio. Difficile, praticamente impossibile, avvicinarsi a Buried senza perdere la misura nel giudizio, visto che l’aura di mediocrità spacciata per qualità sopra la media resta, al termine della fiera, l’unica peculiarità di cui possa vantarsi.