UN ANNO (O GIÙ DI LÌ) VISSUTO SERIALMENTE – 3° PARTE
Inoltre, la TV di qualità è sempre meno esclusivamente americana e cose notevoli sono emerse anche all’estero, forse mai come quest’anno. Il panorama inglese è sempre ricco e ambizioso di competere con gli States, con conferme di qualità come Sherlock e Downton Abbey, e una new entry di tutto rispetto: The Fall con l’indagine su un serial killer che riesce a nascondere la propria mostruosità e a vivere una vita davvero ordinaria. Decisamente più tradizionale di quella della detective interpretata da Gillian Anderson, scostante divoratrice di uomini emotivamente arida. Sarebbe una conferma anche Black Mirror, ma la struttura antologica dove ogni episodio fa storia a sé e la durata più contenuta delle puntate della seconda stagione meritano una menzione. In particolare l’episodio Waldo, dove Charlie Brooker immagina uno scenario molto familiare agli spettatori italiani: un comico imbonitore si tuffa con successo in politica. In questo caso c’è dietro una cospirazione, che vorrebbe essere inquietante ma finisce per apparire quasi escapista di fronte alla nostra realtà. Waldo fa davvero paura perché sembra terribilmente credibile.
In Francia Canal + rimane la realtà più stimolante e quest’anno ha prodotto una serie estremamente coraggiosa: Les Revenants tratta dal film omonimo di Robin Campillo – passato anni fa dalla Mostra di Venezia – ma in realtà del tutto diversa tanto nel tono quanto nello sviluppo dell’idea iniziale. Nei pressi di una diga i morti tornano in vita e, con l’eccezione di un bambino, sembrano aver dimenticato di essere morti. La serie di Fabrice Gobert non esplora i problemi sociologici e politici del film posti dal film, prediligendo un approccio intimista e l’elaborazione del lutto. I misteri metafisici abbondano e i cliffhanger sono azzeccati, ma il ritmo è sommesso, meditabondo e lugubre, lontanissimo dai modelli angloamericani. Così come la serie del canale franco-tedesco Arte, Ainsi soient-ils, dedicata a un gruppo di seminaristi e molto apprezzata dalla critica. Qui la qualità produttiva e la regia non lasciano particolarmente il segno, ma la fede nel mondo moderno e i problemi della Chiesa sono affrontati con onestà ammirevole e lontana anni luce dalle produzioni filo-ecclesiastiche nostrane.
Nel Nord Europa continuano ad affiorare titoli interessanti, per esempio la fantascienza svedese e intimista di Real Human, con la convivenza tra robot e esseri umani analizzata da un punto di vista strettamente umano, forse troppo riflessivo e raffinato per un remake Usa. Dove invece va per la maggiore rifare le serie gialle o thriller, come la coproduzione svedese-danese Bron-Broen rifatta come The Bridge e spostata sul confine tra States e Messico. È poi da poco arrivata anche in Italia, sulla scia di un successo internazionale, la serie politica danese Borgen, in patria diretta verso la terza stagione.
Dalla Norvegia emergono produzioni di qualità, forse su tutte la miniserie Halvbroren, d’ambientazione in parte storica e tratta dal romanzo omonimo di Lars Saabye Christensen. The Half-Brother (questo il titolo internazionale) è stata a sua volta venduta in vari Paesi stranieri, cosa che non sorprende data l’impressionante qualità visiva, ma purtroppo non si sa niente di un suo arrivo in Italia.
Anche la Russia e il Sudamerica hanno recentemente offerto serie di livello, per esempio Life and Fate dal romanzo omonimo di Vasily Grossman ambientata a Stalingrado è indubbiamente un progetto ambizioso e autoriale. Piuttosto impegnativa per il grande uso di esterni, riprese in elicottero e scene d’azione, è anche il thriller Prófugos, con regia tra gli altri di Pablo Larraín. Qui si racconta, senza paura di sporcarsi le mani con sangue, sesso e corruzione, della fuga attraverso il Paese di un gruppo di criminali braccati. Coinvolta anche HBO Latin America, è prevista a breve la realizzazione di una seconda stagione.
Infine la miglior serie dell’anno: la coproduzione internazionale tra BBC, Sundance Channel e Tv neozelandese Top of the Lake di Jane Campion, presentata anche allo scorso Festival di Berlino. Miniserie di circa 6 ore, con un notevole cast internazionale, Top of the Lake sembra iscriversi al filone della long-running investigation, ossia di serie dove l’indagine dura tutta la stagione, un formato rilanciato dai gialli nordici come Forbrydelsen (l’originale di The Killing), ma in realtà la Campion evita le convenzioni. Piuttosto che concentrarsi sul solito omicidio, la regista sceglie la fuga di una ragazza incinta come fulcro della vicenda e racconta, più dell’indagine, le difficoltà di una comunità rurale di fronte alla natura: da una parte quelle del patriarcato, dominato dagli affari sporchi di Matt Mitcham, e dall’altra quelle del matriarcato per donne “post-menopausa” della santona GJ. Scrittura di gran livello, regia sontuosa e intreccio che dissemina dubbi in modo intelligente prestandosi a ulteriori e stratificate letture, fanno di Top of the Lake un capolavoro destinato a restare nella storia della serialità.
Per gli anni a venire, in un’offerta ormai sterminata ma dove gli scossoni sembrano venire più dalle propaggini dell’impero che non dagli States, si intravedono almeno due cose da attendere con ansia: Money del grande David Milch con Brendan Gleeson, di cui HBO ha appena approvato il pilot, e il prequel di Heimat, ovviamente di Edgar Reitz con una parte per nientemeno che Werner Herzog. Raggi di sole che rendono meno cupa l’imminente fine di Treme, Breaking Bad e forse anche di Mad Men.
FINE 3° E ULTIMA PARTE