venezia 70 - Giorno 2

VENEZIA 70: Giorno 2 – Cammelli, famiglie disumane ed ignavia prematura

the police officer wife venezia 2013

Un giorno-numero-due che sembra ennesimo, sfiancato, e soprattutto arreso: la programmazione balbuziente, pochi agganci il 29 agosto per sostenere gli occhi, assaliti dal flusso incontrollato. Le orbite spaziali di Gravity sembrano ormai sepolte, Sion Sono è troppo in alto, impalpabile, un cielo incrostato di sangue, arcobaleni, pompette, yakuza kitsch e litanie irraggiungibile, se non a monchi tastoni di memoria. Chè dopo di lui, lo schermo di pelle morta, come se si dovesse ricominciare,: dopo aver giocato all’inferno, non può che esserci del nulla. E nemmeno un nome a risvegliare almeno un occhio, in questa giornata: solo lampi, abbagli, errori, frammenti di storie superflue (d’egocentrismo realizzativo), salti nel buio e dal buio, stickers, sogni sfigurati e mal trasfigurati, turbati e masturbanti – ma il vaccino (o la malattia definitiva) di Why don’t you play in hell tiene lontana qualsiasi psicosi: gli occhi dormono, come le ossa su schienali troppo bassi; gli occhi chiedono di essere strappati, vogliono essere le gonadi, gli occhi che hanno visto dio (e il diavolo, e l’amore, e il colore, e il delirio: in una foto di gruppo), adesso, si inchinano all’accettabile e all’anonimo, al carino e all’eh vabbè. Qual autosabotaggio, Sion Sono al primo giorno.

E se d’Emma Dante s’è già detto (anche se il oggettivismo pessimizzante aiutava), è inevitabile tirare le spalle (un educato Vaffanculo) al ripetersi osceno delle bomboniere in concorso: Tracks di John Curran. Il solito biopic che si gira da solo. E che si guarda da solo: come lo stagno dell’emancipazione dopo l’orario di lavoro. Il viaggio nel deserto australiano di Robyn Davidson diventa: Mia Wasikowska e la sabbia, Mia Wasikowska e i cammelli, Mia Wasikowska con delle mutande a fiori, Mia Wasikowska e Adam Driver (che sembra sempre più Luigi Luciano), Mia Wasikowska e qualcos’altro che s’è già dimenticato. E blabla la fotografia blabla qualcos’altro: ci mancherebbe solo che non ci fossero.
La puzza di morto prosegue cieca, attraversa il concorso, e potrebbe impossessarsene.
The police officer’s wife di Philip Gröning: quasi sessanta capitoli, quasi tre ore. Epopea minuscola del raccapricciante domestico. Epidermide digitale da vecchia ripresa amatoriale. Una manciata di attori sbiaditi. Lividi, su di lei. L’indugiare sui lividi. Il pianto di lui. Il non-lavarsi-più di lei. Una figlia, unica in grado di pronunciare e di vedere qualcosa, innocenza ricaduta e sepolta viva, dal niente che sono i sui genitori. Il lento, insensato, non riassumibile (in cause ed effetti) deperire dell’amore, cioè di tutto. Un bagno-soffitta che è già malattia, spezzato di qualcosa di precedentemente completo. Una tortura a singhiozzi ed intervalli e una manciata di parole, forse in numero superate dagli schiaffi. Uno scardinare invisibile e continuo: regia disumana per disumanità, della pelle e dell’angolo meno visibile. La pornografia della noia, l’exploitation della miseria: il cinema che si pensa intellettuale quando invece è principalmente vile e snob. E (non) ci piace per questo.

tracks di john curran venezia 2013

Ed altrove, nella Settimana della Critica, intanto, Napoli si fa cartoon: L’arte della felicità di Alessandro Rak. E si fa aforisma. E si fa moralista. Ma mai tecnicista. I sintomi della malattia dell’animazione ci sono tutti: durate minime ma piene di lungaggini (duri ottanta minuti e sei lento); tecnica budget e stile che invece di essere lasciati a scannarsi tra di loro per farne prevalere uno, convivono incompleti e lontani tra loro nello spazio minuscolo del quadro; parole e immagini che risentono di troppe mani e di troppo tempo nel loro apparire unite. Ancora. L’istinto è soppresso, tutto è un gelido programma.

Altre visioni sparse, tali rimangono, nell’ignavia, nel gravare di punti di domanda su come le film commission di todo el mundo buttino i loro soldi in video-cose che sarebbero potuti esistere anche dieci anni prima (Nobody’s home di Deniz Akçay, in giornate degli autori) se non venti (Algunas chicas di Santiago Palavecino, orizzonti).

Di come Paul Schrader sia in grado di  ridicolizzarsi, racconteremo poi.

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