MONSTERS UNIVERSITY di Dan Scanlon
REGIA: Dan Scanlon
SCENEGGIATURA: Daniel Gerson, Robert L. Baird, Dan Scanlon
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013
I SUPERPOTERI DELLA PIXAR (IN RICREAZIONE)
Per la prima volta nella storia della Pixar, il corto d’apertura fa temere il peggio per la visione che seguirà di lì a breve: L’ombrello blu è un mix sbrigativo e quasi pigro di altre suggestioni di suoi simili, incapace di baluginare di poesia quando ricorda troppo gli equivoci del breve incontro di Paperman, gli oggetti animati dell’effetto sorpresa di Toy Story e soprattutto perché ricalca quasi pari pari il piccolo semi sconosciuto Johnny il cappello innamorato, incantevole cortometraggio targato Disney anni 1946 (!!).
Indi per cui, sapere che stiamo per assistere all’ennesimo auto rifacimento, un prequel dopo il meccanico sequel Cars 2 e il protodisneyano Brave (insipido frullato di tutto il repertorio disneyano più convenzionale), non vivifica le nostre speranze, facendo presagire un buon (ma non ottimo) livello (monocorde). E invece.
E invece: Monsters University sbaraglia tutte le diffidenze, gli storcimenti di naso, gli scetticismi pregiudicanti, per quanto motivati. La scrittura pixariana ritorna ad essere congegno infallibile oltre ogni prospettiva e aspettativa possibile del brillante, dell’eccezione eccezionale. Tale è la finezza di scrittura, lo spiazzamento continuo, che pur seguendo schemi da tempo rodati (caduta-rinascita, amici-nemici) mette puntualmente e ripetutamente a segno una serie inesauribile di colpi perfetti, impareggiabili (per di più sfoggia una citazione di Carrie che, siamo pronti a scommetterci, si mangerà in un boccone il remake prossimo venturo). Fino ad un finale che è solo un inizio.
Monsters University conferma una volta di più che la forza dei proprio creatori è il non attenersi al semplice intrattenimento gag-limited, è la capacità (ormai quasi un superpotere) di scardinare i limiti ghettizzanti del film d’animazione, potenziandole la portata universale: non più semplice film per bambini ma ‘semplicemente’, puramente film. E dopo aver reso Sulley il fulcro del grandioso Monsters & Co., si passa la palla di protagonista alla sua spalla, Mike Wazowski. Il bestione peloso e il monocolo verde sono una coppia esemplare ed esemplificazione dell’amalgama vincente della Pixar, dove Mike è tecnica tattica e Sulley pratica iperproduttiva, mente e braccio, qui ai loro primordi: nerd secchione e bulletto spaccone che si trovano entrambi costretti al bagno di realtà dei loro limiti e della loro fallibilità, nella pubblica gogna della vita sociale universitaria.
Sotto l’involucro di un esilarante college movie giacciono e pulsano le prime disillusioni, il disincanto della crescita e la fatica, la rabbia e la frustrazione dell’inevitabile accettarsi per quello che si è: per la prima volta in un film d’animazione occidentale il fallimento è palpabile, l’avere un sogno ardente di passione e la lotta per la sua realizzazione non hanno come diretta conseguenza il suo esaudirsi. Ma come insegna Rapunzel (una delle migliori pellicole Disney degli ultimi anni), si può diventare eroi anche cercandosi «un nuovo sogno», uno che si adatti meglio a ciò che siamo davvero, magari uno migliore, pure se per raggiungerlo occorre partire dagli sgabuzzini e dalle scope, come lo stesso american dream insegna. Alla fine, non stupisce che un personaggio come Mike sia stato scelto per capitanare la scena: è lui fin (dall’inizio) lo stratega, il regista, l’ideatore: il re della creazione, anche in un mondo ormai familiare.
Perché i ragazzi della Pixar lo sanno: non basta la banalità dell’urlo per creare lo spavento, almeno quanto l’affezione a personaggi che già si conoscono e l’ammiccamento colorato non sono sufficienti a determinare la riuscita di un progetto: ci vogliono sudore, convinzione, originalità, dedizione, ci si deve buttare a pesce nelle proprie potenzialità per quanto il mondo esterno e la crudeltà dell’adolescenza ce le rivolgano a specchio come segno di loserness (il gruppo di sfigati messo su loro malgrado da Mike e Sulley è da applausi a profusione).
Così, sebbene ultimamente la Pixar somiglia tanto al mostro-lumaca (star del trailer e di un’unica scena del film) che corre corre corre ma rimane fermo nello stesso punto, e benché non siamo a livelli di capolavori da crepe nel cuore e lacrime convulse come Toy Story 3 o (la prima parte di) Wall-E, anche se questa è una ri-creazione, è talmente pregiata che la accogliamo a braccia aperte e con gli occhi lucidi. In attesa di nuovi intrepidi orizzonti.