in sala

A ROYAL AFFAIR di Nikolaj Arcel

a royal affair (1)

REGIA: Nikolaj Arcel               
SCENEGGIATURA: Rasmus Heisterberg, Nikolaj Arcel
CAST: Mads Mikkelsen, Alicia Vikander, Mikkel Boe Følsgaard, David Dencik, Trine Dyrholm
NAZIONALITÀ: Svezia, Danimarca, Repubblica Ceca
ANNO: 2012

Una principessa triste, un principe squilibrato e un cavaliere della (co)scienza. Quella ritratta da Nikolaj Arcel è un pagina di storia danese sconosciuta ai più, l’ultimo spiraglio atrocemente buio prima di una rinascita fatta di luce, fierezza e avanguardia per un paese poi diventato un faro di civiltà.
Ma il capitolo che la precede è insanguinato d’amore, morte, ricatto, ingiustizia e volontà d’illuminazione, volontà che affoga però tra i paletti della cospirazione politica e delle sporche macchinazioni sottobanco.
A royal affair è feuilleton d’ispirazione selznickiana, valorizzato da tre interpreti che rifulgono di chimica reciproca, costruito sulla fervida eleganza formale della ricostruzione storica (e sentimentale), e che tuttavia a tratti mostra il fianco in un andamento fin troppo descrittivo.

Lungo le due ore e passa di durata sbocciano punte sonanti  di coinvolgimento e di crudezza sanguigna, nell’ineluttabilità silente di una messinscena che si permea di duro realismo (ne è esempio lampante la decapitazione finale e la tortura a morte del contadino). E quando la sinuosità ineccepibilmente impostata tecnicamente e stilisticamente prende per mano un’emotività in crescendo, che ribolle sul fondo quasi impercettibile prima di esplodere, ecco che il film ci agguanta finalmente anche il cuore, mentre fino ad allora solo gli occhi erano deliziati dall’impeccabilità di immagine e dialogo, dalla saturazione dei colori, dalla freddezza cromatica.

Centro nevralgico è ancora una volta l’amore, come ci si aspetta in ogni grande racconto: l’amore che rischiara, l’approdo purificante alla conoscenza di sé: l’amore per il sapere, l’amore per un uomo buono, l’amore per se stessi, l’amore per qualcuno che fa intravedere ad una fanciulla prigioniera nuovi mondi sotto la coltre dell’altrui pigra insipienza. Più che un triangolo, due linee di una freccia che convergono verso la punta acuminata, verso una cima: il medico illuminato Struensee, che apre al principe gli occhi e alla principessa il cuore, e ad entrambi la mentre, prima che qualcuno si renda conto del pericolo che comportano l’impegno e il trasporto della sua lux.

Alla fine, al di là degli intrighi e dell’efficacia della rievocazione storica, quello che resta di più – e più a lungo e a fondo – è proprio l’intensità liquida degli sguardi, oltre i ben declamati e strutturati dialoghi politici. Sono le occhiate in elevazione climatica ed emozionale tra il dottore e la principessa, l’espressione del principe per un momento libero dalla propria instabilità mentale, quando si rende conto che stupido non si nasce ma lo si diventa per manipolazione, un giogo da cui la volontà può strapparlo (forse, e forse non per sempre). Quel che (ci) resta è l’umanità, in sintesi e nel succo, che tracima palpitante da un’opera che sotto gli intrighi politici, la corruzione, le scelte di comodo, le mire, le condanne a capri espiatori, la scacchiera del gioco di potere, nasconde e alla fine lascia lib(e)rare la lotta e il desiderio di tre cuori saldi, commoventi persino quando si sbriciolano, inesorabilmente, sotto la cecità della repressione.

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