Una lacrima al calor bianco: BLANCANIEVES di Pablo Berger
REGIA: Pablo Berger
SCENEGGIATURA: Pablo Berger
CAST: Macarena García, Maribel Verdú, Ángela Molina
NAZIONALITÀ: Spagna, Francia
ANNO: 2012
Inevitabilmente favorito dall’onda anomala del successo di The Artist (ma non definiamolo derivativo), Blancanieves ne riprende il formato rifacendosi al cinema anni ’20 e incarnandosi in un muto b/n, e in un’Andalusia avvolta da un folklore più classico che stereotipato (e curiosamente nero), impianta – alterandola – una fiaba che definire celebre sarebbe uno spudorato eufemismo.
Nelle sue sfumature grottesche e nelle distorsioni tragiche Blancanieves alza l’asticella rispetto all’operazione di Hazanavicius ed è decisamente un lavoro più ambizioso, coraggioso e ardito: tuttavia, a più riprese è meno riuscito e centrato. Si avverte una certa mancanza di fluidità e di naturalezza – che in The Artist erano gioiosamente (meta)cinefile – così come è assente l’incantevole stato di grazia della pellicola di paragone. Il film di Berger dà a più riprese la sensazione di far fatica a trovare un assestamento tra il racconto favolistico di partenza e la focalizzazione in uno stile rappreso nel dark e nel melò; inoltre la dilatazione e una vaga meccanicità della cadenza narrativa smorzano il ritmo e talvolta dissolvono le (molteplici) possibilità di un’emozione.
Di buono ci sono un’inedita Biancaneve caliente torera (terza variante progressista di tale principessa nello scorso 2012, dopo la guerriera Kristen Stewart e la femminista Lily Collins), i sette nani come circo di freaks, la tensione che in alcuni momenti si accorpa addosso alle immagini (vedi la scena della bimba che gioca col padre invalido facendolo ‘danzare’ mentre l’ombra lunga della matrigna si allunga verso di loro), la restituzione di uno spazio importante (e dolente) alla figura paterna e l’annullamento del ruolo del principe salvifico.
Soprattutto, inaspettati e abbaglianti sono l’inizio straniante e cattivo, e un finale lirico e noncurante di qualsivoglia conciliazione, che non placa il groppo in gola, che perciò risuona come un amaro anti-happy end; dunque, non più favola bensì triste realtà: irrompono la malinconia dell’addio e la bruttura di un mondo in declino, con gli spettacoli da baraccone, le avversità, la sconfitta, i cuori strappati. Sicuramente quei cinici pessimisti dei fratelli Grimm avrebbero gradito, e non poco.
P.S. Pollice su per Encarna, malvagia infermiera-dama-assassina, ma recuperatevi la Lana Parrilla di Once Upon A Time: una ormai impareggiabile e divina strega cattiva, Regina di nome e di fatto di tutte le villain fiabesche possibili.