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Tutto è relativo: INTERSTELLAR di Christopher Nolan

Matthew McConaugheyREGIA: Christopher Nolan
SCENEGGIATURA: Jonathan Nolan, Christopher Nolan
CAST: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine
NAZIONALITÀ: USA, UK
ANNO: 2014

Con Interstellar Cristopher Nolan approda a un nuovo tassello di un discorso autoriale, che parte già dagli albori di Following, passando per Memento e Inception. Quello del relativismo del tempo, della decostruzione delle cronologie narrative, della non linearità e dell’intersecazione dei piani del racconto. Se finora per questo risultato adottava meccanismi onirici, sogni, ricordi, flashback rimescolati, qui siamo in un contesto oggettivo che si fonda sulla teoria della relatività di Einstein, come declinata dal pensiero scientifico di Kip Stephen Thorne – consulente del film nonché uno dei produttori esecutivi e autore del libro The Science of Interstellar –, scienziato i cui studi, sui cunicoli spazio-temporali come vettori di viaggi nel tempo, rappresentano la manna per autori di fantascienza. Il famoso paradosso dei gemelli di Einstein, secondo cui se uno dei due è un astronauta e fa un viaggio interstellare torna più giovane del fratello, può essere applicato anche a padre e figlia, si presume.

L’approccio di Nolan alla fantascienza è al tempo stesso innovativo, per la cura nella verosimiglianza scientifica secondo le più aggiornate conoscenze, per il realismo, ma allo stesso tempo il regista costruisce un immaginario vintage. Non astronavi dal design avveniristico, nessuna Enterprise o Discovery o Nostromo, ma razzi che staccano i propri vettori, con immagini che riproducono i filmati di repertorio delle prime missioni spaziali. Mentre le navicelle più originali spesso sono riprese con un punto di vista fisso, sul dorso delle stesse. Sono inquadrature che danno il senso ancora di immagini di repertorio che sono state rese possibili da telecamere Imax montate su modelli a grandi dimensioni, lunghe in media 15 metri, in ossequio alla ricerca del regista di realismo riducendo al minimo la computer grafica. Stessa cosa si può dire delle tute spaziali, pesanti, con casco. Questo inverosimile connubio, questo contrasto tra futurismo e modernariato astronautico, che trova un corrispettivo nel telefono a cornetta o nell’autopompa di Fahrenheit 451 di Truffaut, ha una sua spiegazione nell’ambientazione, in un futuro indeterminato, di una Terra in fase di decadenza, che è andata incontro a una involuzione. E la vita stessa sulla Terra sembra quella del presente, in una vecchia fattoria circondata da campi di mais, nell’estrema periferia americana, dove lo svago è rappresentato da partite di baseball. È l’atmosfera di Furore, dell’America in depressione, di cui si riprende il fenomeno delle dust bowl, le tempeste di sabbia, dovute a pratiche agricole intensive, che pervadevano la campagna americana in quegli anni. Un futuro immerso, pervaso di polvere. Anche le astronavi sembrano impolverate, tutt’altro che scintillanti, i caschi con ditate. Un futuro dove le più avanzate teorie fisiche si abbinano alla saggezza della vecchia legge di Murphy.

E il rapporto futuro/passato che pervade il film, rispecchia il respiro cinematografico di Nolan, che usa l’Imax più sofisticato ma gira in pellicola, prevedendo versioni in 70mm, il formato dei kolossal classici hollywoodiani, Nolan che cattura la quinta dimensione ma fa i film in 2D.

Siamo abituati, nella tradizionale science fiction, a discese su pianeti fatti da astronauti effettuate con nonchalance, con la stessa disinvoltura con cui si prenderebbe un ascensore. In Interstellar l’approdo, l’atterraggio o l’ammaraggio, a nuovi pianeti appare al contrario un’operazione complessa e molto laboriosa. E poi c’è il robottino-computer che non ha nulla di antropomorfo ma è stilizzato, da design essenziale. Nolan reinventa le basi stesse dell’immaginario fantascientifico come se partisse da capo, da un lato. Ma dall’altro aleggia sempre il fantasma di Kubrick e di 2001, film che a sua volta ha fatto tabula rasa del cinema di genere fino ad allora: il silenzio dello spazio, le prospettive ribaltate, sottosopra, la perdita delle coordinate gravitazionali di sopra e sotto, le immagini rotanti. E il film sembra quasi voler dire che il negativo è nella prospettiva lineare, che prevede un orizzonte, da cui possono arrivare minacce come le nubi di polvere sulla Terra o l’immenso tsunami sul pianeta, mentre il futuro è nella dimensione circolare della colonia spaziale rotante, dove terra e cielo combaciano. Anche Interstellar è un’Odissea, un ritorno dopo tanti, relativi, anni, tra spazio, tempo, dimensioni. Tra pianeti lontani, viaggi temporali e interdimensionali, si torna sempre alla famiglia, all’uomo.

Nolan costruisce un congegno così complesso che a fatica riesce a tenere insieme, e volte gli ingranaggi scricchiolano e il meccanismo diventa un po’ farraginoso.

 

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