visioni

GHOST IN THE SHELL di Rupert Sanders: How to get away with a remake

ghost-in-the-shell-2017

REGIA: Rupert Sanders
SCENEGGIATURA: Jamie Moss, William Wheeler (basata su Ghost in the Shell di Masamune Shirow)
CAST: Scarlett Johansson, Takeshi Kitano, Michael Pitt, Juliette Binoche
ANNO: 2017
PRODUZIONE: USA

Potenzialmente tutti i rifacimenti hanno senso, anche perché la definizione di remake è talmente sfuggente infine da stimolare le fantasie più perverse, lì dove l’idea che una rielaborazione del mito possa prendere forma aggiungendo, deformando, rivedendo, facendone esplodere i nucleo più cari e delicati. Perché non esistono regole definite e tutto è possibile.
La realtà è che purtroppo le aspettative vengono sempre deluse quando si tratta di rielaborazioni hollywoodiane, solitamente tendenti alla semplificazione e con più occhio alla merceologia che sta dietro che ai film in sé; e questo anche quando si tratta di sue stesse creature, figuriamo se l’oggetto del rifacimento è una pietra miliare del cinema tutto e non solo.

La cosa migliore è partire prevenuti, in modo da poter stravolgere le proprie aspettative.
quello che principalmente fa questo Ghost in the Shell 2017 è prendere quello del 1995 e il suo sequel del 2004 ed aggiornarne l’immagine in senso stretto. Inquadrature, momenti, la filosofia di fondo. Il gioco funziona e ci ritroviamo con immagini sfavillanti, talvolta stimolanti e talvolta più simili a dei rendering in CGI delle inquadrature originali. C’è un garbuglio di fondo: l’atmosfera del film originale faceva da perfetta cerniera tra due epoche, due epoche belle che andate, riassumendo quel lasso di tempo che va da Blade Runner (a cui il 1995 deve praticamente tutto) a Matrix (che di GitS era già parzialmente remake, non solo nell’anima), mentre la fantascienza non sa bene che posto occupare e che cosa raccontare, con il cyberpunk diventato retrò e con una filosofia della dissolvenza digitale sempre meno “accettabile” perché facente parte della società. A cosa serve un Ghost in the Shell nel 2017 quindi? Semplicemente a narrare una storia. Una storia già scritta e che deve “solo” essere raccontata bene.
Beh, Sanders ci riesce, come consapevole del proprio limite e del suo dovere. Non fa quello che ad esempio era stato fatto con Atto di forza (cioè uno stravolgimento delle atmosfere in nome di un upgrading visivo eccessivamente canonico ed infine completamente inutile), ma da fan ricalca pedissequo, mescolandoli, i film originali, già perfetti di loro, ammorbidendo per il grande pubblico e spingendo lì dove la tecnologia glielo permette. Non cade nemmeno nella tentazione di emulare la religiosità e la forte componente contemplativa del film di Oshii, ficcando qualche scena e qualche spiegazione in più piuttosto che panoramiche urbane musicate. Certo, sentirsi raccontare il titolo durante più volte durante il film non è il massimo, così come non lo è vedere sostituiti versetti biblici con camminate trionfali con tanto di voice over, ma il tutto sembra realizzato onestamente e con umiltà.

Ed è proprio in virtù di questa consapevolezza ben ponderata che il film ci arriva per quel che può essere ed è: un buon action sci-fi dal plot non gonfiato e soprattutto con un’idea sia d’atmosfera che di montaggio ben chiara. Tra un rallenti e un corpo a corpo esplicito, il caos a cui ormai siamo abituati è non pervenuto, grazie a dio. Le parole ficcate in bocca ai personaggi non gli ostruiscono la gola. Le immagini sanno essere sia nostalgiche che munite di un’identità propria. E – forse è qui la cosa migliore – le interpretazioni non sono a livello di recita in costume.

Un remake infine che riesce a ritagliarsi un posto tra i pochi “buoni”, una novella-remake fantascientifica da fruire veloce e riporre nel cassetto, sognandone cento altre addormentandosi.

Condividi

Articoli correlati

Tag