DRIVE di Nicolas Winding Refn
REGIA: Nicolas Winding Refn
SCENEGGIATURA: Hossein Amini
CAST: Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston
ANNO: 2011
USCITA: 30 settembre 2011
DOES THE HERO GET THE GIRL?
Fino a pochi film fa, il cinema di Winding Refn poteva essere riassunto in una tipica scena scorsesiana degl’anni ’90: Joe Pesci faccia da schiaffi borderline impazzito che con particolare nonchalance, si mette improvvisamente a pestare un tizio qualunque con bestialità furiosa. Dunque, Winding Refn prende dal cinema di Scorsese l’impazzire freak e lo scoppiare di una violenza grafica brutale, rock n’ roll, nevrotica. Eppure, dai tempi di Pusher (1996, film bellissimo, esordio coi botti), qualcosa è evidentemente cambiato. Lo vediamo fin dai titoli di testa diDrive, in cui a scorrere sullo schermo è la musica dei College (feat. Electric Youth), sorta di revival anni ’80 già malinconica nel suo stesso essere composta.
E d’altronde, Drive è sorprendentemente opera nostalgica, ma non di quella nostalgia che evoca un cinema ormai inesistente, bensì di un tipo più sofisticato, emotivo, crepuscolare. Forse stavolta, il paragone più giusto non è più con Scorsese, bensì con Eastwood, non a casoDrive è un film sull’eroismo più noir, e diverse volte si ha la sensazione di vedere Gran Torino proiettato con altri corpi in altri spazi e altri tempi. Gran Torino come sacrificio, come inevitabile passaggio nella morte per raggiungere, finalmente, la vita, la catarsi. Ed è così cheRyan Gosling è personaggio silenzioso (di nuovo: come i cavalieri senza nome dell’amatissimo Clint), osserva, contempla, e poi, fatalmente, s’innamora. E ciò cambia tutto, perché innamorarsi significa uscire dalla propria zona di sicurezza per mettersi in gioco, perché ora si ha qualcuno per cui rischiare. Come Walt Kowalski, il Driver del film si apre ai propri vicini di casa, decidendo di esserne responsabile e protettore.
E siamo così lontani dai dialoghi pulp dei primi Winding Refn, da quel Joe Pesci che ritorna ossessivamente come fantasma nel suo cinema, nel suo esplodere più incazzato e feroce. Dal nevrotico siamo passati al nevromantico, e quindi dal soffrire urlando al soffrire in silenzio, dall’esplodere all’implodere, piano piano. L’autore danese gira come il più metabolico dei sofisticati, e stavolta, invece di tuffarsi nel vortice nervoso del montaggio, concepisce con più cura i singoli quadri, estraendone un feeling estraniato e un mood sospeso nella tenerezza. Basti vedere l’incipit: l’inseguimento in macchina poteva essere pretesto per scatenare un po’ di sano action ed inseguimenti tamarri alla Fast & Furious, eppure Winding Refn gioca tutto sulla suspense; nessuna macchina ribaltata o musica impazzita, solo il taglio giusto al momento giusto, mentre la macchina da presa inquadra il volto impassibile di Ryan Gosling e la radio annuncia i pericoli che paiono nascondersi ad ogni possibile angolo di questa città così blu notturno, già ectoplasmica. Il regista osa dove non aveva mai precedentemente osato, tirando fuori addirittura momenti di dolcezza affogati nell’onirico come la meravigliosa scena dell’ascensore, dove il ralenti è contemporaneamente evocazione del pathos e canzone melancholica che sussurra “remember me, special needs”.
Osservare e contemplare Drive significa avere sotto visione un’opera perfetta che non sembra avere sbavature, dove lo stile è il calcolo infallibile di un autore ormai diventato il mix ideale tra un disco dreampop shoegaze e la sfuggevolezza del cinema che amiamo: Winding Refn ha il romanticismo consumato e tragico di un punk finalmente cresciuto e maturato.