A DANGEROUS METHOD di David Cronenberg – Venezia 2011
REGIA: David Cronenberg
CAST: Keira Knightley, Viggo Mortensen, Michael Fassbender, Vincent Cassel
SCENEGGIATURA: Christopher Hampton
NAZIONALITA’: Uk, Canada, Germania, Svizzera
ANNO: 2011
USCITA: 30 settembre 2011
VENEZIA 2011: IN CONCORSO
IL DEMONE DENTRO LA LENTE: TO-BE-OR-NOT-TO-BE
Michael Fassbender si sottomette alle voglie masochistiche di Keira Knightley nella stessa maniera in cui Viggo Mortensen possedetteMaria Bello sulle scale di A History of Violence: liberando pulsioni vere proprio perché nascoste, mortificate da anni di vita trascorsi ad indossare una maschera, non io al servizio di una fuga impossibile dalla propria reale personalità: violenta, autodistruttiva, capace di sedurre, deludere e abbandonare l’altro. L’ultimo fatica di David Cronenberg riparte da lì, ovvero dallo stravolgimento massimo della graphic nove di John Wagner e Vince Locke: avanti e a ritroso tra la trilogia della nuova carne a quella della vecchia mente, dove Spider resta la coordinata più rassicurante e M.Butterfly si conferma punto dal quale è impossibile fare ritorno sani e salvi. A Dangerous Method è un film superficialmente spersonalizzato dove, nonostante la fedele collaborazione dei consueti Peter Suschitzky (direttore della fotografia), James McAteer (scenografo) e Denis Cronenberg (costumista), almeno in apparenza non vi è traccia visiva del cineasta di Toronto. Mai era capitato di assistere ad una pellicola di David Cronenberg così retrò e rigorosa, dove la macchina da presa sia stata sacrificata, gregaria, ai casti movimenti imposti da una struttura teatrale ai limiti del militare, durante la quale non vi è tempo e spazio per nulla, eccezion fatta per prospettive da collegio infantile: ingessate e seriose. A Dangerous Method riflette formalmente la situazione costretta che vessa almeno due delle sue figure chiave, immola la confezione sull’altare della sostanza con fare pressoché semiotico: scelta tattica rischiosa ma condivisibile, seppur si riveli soluzione riuscita a metà. Ciò che colpisce dell’ultimo Cronenberg è la compattezza, la sua configurazione asciutta e priva di fronzoli, il suo rigore lietamente orfano di qualsivoglia ghirigoro cinematografico. 93 minuti appena, roba di classe, operazione d’alta scuola, missione riuscita dove molti avrebbero fallito, esasperando il cronometro e straziando la pazienza dello spettatore: conferma di come e quanto i corpi persistano nell’essere struttura sostanziale del cinema di David Cronenberg, contenitori della rappresentazione fisica di ciò che l’input mentale genera. Dopo averne scandagliato le conseguenze (A History of Violence e La promessa dell’assassino), ecco l’autore provare a risalirne alle cause, finendo con il mettere in scena una storia che fa perno sul rischio insito in ogni tipologia di rapporto, affettivo o profondamente amichevole che sia: consumarsi lentamente nel corso della sua durata, spersonalizzandosi per mettersi al suo servizio, pagare inesorabilmente il prezzo delle proprie scelte. A farne le spese, in A Dangerous Method, è Carl Jung, logorato dal rifiuto di amare Sabina Spielrein e indelebilmente segnato dalla delusione che il rapporto nato con l’allora paziente abbia sconfortato la fiducia, prima intellettuale e poi umana, di Sigmud Freud: punto di riferimento ai limiti del paterno per Jung, da venerare e sfidare come competenza di ruoli concerne ad ogni “figlio” maschio che si rispetti. L’ultimo Cronenberg è un kammerspiel che sentimentalmente arriva dove si prefigge, purtroppo non contemplando appieno mezzi e finalità dell’arte in questione, cioè la settima. E se l’abilità dietro la macchina da presa di Cronenberg salva una regia essenziale dalle derive dello sceneggiato televisivo, decisamente da meno è la sceneggiatura, che colpevolmente omette i passaggi relativi alla maturazione spirituale di Sabina Spielrein, oltre a relegare a ninfomane macchietta sullo sfondo la figura di Otto Gross. Non il massimo della vita, comunque più economico di una seduta dall’analista.
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