BIRDS OF PREY E LA FANTASMAGORICA RINASCITA DI HARLEY QUINN
Regia: Cathy Yan
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Cast: Jordan B. Gorfinkel, Chuck Dixon, Greg Land (fumetto), Christina Hodson
Anno: 2020
Produzione: Stati Uniti d’America
Nell’ormai fuori controllo produzione supereroistica audiovisiva – tra cinema, serie – la Warner DC sembra fare di tutto per rimanere negli annali come la casa più squilibrata, schizofrenica, impazzita, bipolare.
Come un Vittorio De Sica che gira come un ossesso per il casinò puntando a quante più roulette possibili, da un lato la Warner sforna serie TV (e quando va bene le connette), improvvisa universi cinematografici, rifà film in fretta e furia e investe su stand alone tirati per le orecchie, dall’altro dà carta bianca a film più autoriali e serie d’animazione senza freni. Expect the unespected sembra essere il motto, tutto il contrario della Disney/Marvel.
Dopo tre anni e qualcosa da Suicide Squad, con il quale decisero di buttare in pasta al pubblico un pugno di villain sconosciuti ai più, sconquassati inoltre da un “Famolo comico” deciso all’ultimo, ecco un seguito a l’unica ragion d’essere commerciale di quel film: l’Harley Quinn di Margot Robbie.
Se non fosse appunto per l’Expect the unespected, dopo Joker, ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa, ma i due film hanno una produzione quasi contemporanea ed è fuori di dubbio che possa esserci stato un “Famolo più cupo” in post-produzione.
Ebbene, alla Quinn-roulette, su cosa hanno puntato? Su tutto: rosso e nero (che magari fossero quelli del costume originale di HQ), lo zero, i dispari, i pari, i cavalli gli orfanelli. Vanificando ovviamente qualsiasi direzione di senso, deflagrando in tutte le direzioni e in tutti i sensi.
Narrazione velocissima, un blaterare in voiceover senza una punch line che sia una, fotografia impazzita in un bovolo arcobaleno tanto da bruciare gli occhi, anche qui un pugno di personaggi buttati in pasto al pubblico con troppa fretta e poca furia, action alla rinfusa, splatter infilato qua e là, come il sarcasmo e la malinconia. In Birds of Prey tutto è fugace, veloce,sfuggente fino a risultare inafferrabile, impalpabile, invisibile e quindi inesistente.
Uno schizzare da una parte all’altra in un’estetica da sala giochi (e non da videogioco), tra un flipper, un cabinato, un Dance Dance Revolution ed innumerevoli led colorati chiaramente dalle velleità cartoonesche, ma dall’approccio completamente sbagliato: ogni follia, convulsione, assurdità si possa vedere in un cartone animato è cogitata e creata per la natura stessa dell’animazione, qui invece sembra il frutto di cinquecento inquadrature tutte infilate a forza nel montaggio.
Se ciò non fosse una scelta palese, si potrebbe dire che a Bird of Prey è mancato il coraggio di soffermarsi, su qualsiasi cosa. Una frase, uno scenario, un corpo, un singolo istante, un sorriso, un calcio. E di certo non è per carenza di materiale di partenza: i fumetti, le serie animate degli Anni 90 e anche quella del 2020 – che rispetto a questo film viaggia letteralmente su un livello superiore – son qui a dimostrarlo.