THE LAUNDROMAT di Steven Soderbergh
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Cast: Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas
Anno: 2019
Produzione: USA
L’iperproduttività di Soderbergh ormai va al di là del bene e del male. Non è più possibile giudicare un suo singolo film, tantomeno l’insieme più recente del suo lavoro (almeno per ora, se questo ciclo dovesse chiudersi): ogni lavoro è capace di essere allo stesso tempo sciatto quanto esaltante, lacunoso quanto sornione, stratificato quanto arrabattato.
Il suo girare sembra essere ormai allo stadio della compulsività, ormai è un animale della macchina da presa nel senso meno elucubratorio del termine, una versione buffa di sé.
Il suo è un giocare con balocchi digitali e il suo è un “cinema” (virgolette: metà delle sue ultime dieci fatiche, questa compresa, sono per il casalingo) ludico e accecato, senza velleità e senza esaltazioni, se non quella della realizzazione stessa.
I suoi sono film di poco conto, che solo un ingenuo definirebbe “sperimentali” (non fa niente di nuovo nel panorama dell’audiovisivo, semplicemente si dedica al proprio affare), e non per mancanza di mordente o semplicemente di “risultati finali”, ma perché sembra lui il primo a non voler contare niente.
Il suo essere regista+dop+montatore non può non sorreggere una visione per la quale Soderbergh ci appare come un giocatore solitario, un solitario perso nel suo diletto e completamente noncurante dell’esterno.
Anche davanti ad una sceneggiatura, ad opera del compare Scott Z. Burns, forte di un determinato peso politico, sociale e cronachistico (anche se, va detto, anche qui non si tratta di nulla di nuovo) con tutta evidenza sulla scia di The Big Short di Adam McKay, Soderbergh pare tutto concentrato sui trick digitali (fotografici e di montaggio), come un affaccendato mestierante contento di esserlo, libero di non “dover” fare niente.
E più di un qualsiasi “film”, ciò che di è dato vedere è proprio lui all’opera e nulla più.