THE PAINTED BIRD di Václav Marhoul
Regia: Václav Marhoul
Sceneggiatura: Václav Marhoul
Cast: Petr Kotlár, Udo Kier, Stellan Skarsgård, Harvey Keitel
Anno: 2019
Produzione: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina
Stiamo parlando di cinema e non di altro, quindi possiamo dirlo: questo è il The Nightingale di quest’anno. Vale a dire il tour de force truculento, compiaciuto e insignificante realizzato con l’assurda convinzione che mostrare la violenza sia narrare la violenza. Ma se l’anno scorso era l’ego prepotente di una messa in scena priva di reale inventiva persa tra l’allegoria (di grana così grossa da essere soffocante) e lo shock visivo, quest’anno ci ritroviamo con un’opera di indigeribile, ma almeno adorna e dotata di una visione.
Nella sua durata opulenta, 169 minuti, The Painted Bird è narrativa di scorrimento, un hallway saldo e senza sbavature, in quanto a struttura, nell’orrore della Seconda Guerra Mondiale in una resa astratta quanto basta ma al contempo limitata nel suo essere un semplice catalogo di eventi terribili, scena dopo scena, pagina dopo pagina, livello dopo livello.
Un sussidiario illustrato del terrore, un susseguirsi di tableaux vivant di torture e violenze, un museo a schermo aperto: perché se il punto di forza del film è la messa in scena in senso stretto – sempre luminosa, vivida, chiara, solida – è il senso che sottende, chiaro fin dai primi passi, a diventare presto zavorra.
La struttura museale è un vincolo meramente da accettare, un patto narrativo che rassicura quanto stempera: violenza dopo violenza, sciagura dopo sciagura, attendiamo che il piccolo Joska ci porti alla successiva, liberi di bypassare mentalmente quella precedente, proprio come escludiamo una sala non di nostro interesse in un museo senza il timore di perdere il vilo logico, che in questo caso è una grossa e ruvida fune.
Ed è un peccato che un dispiego di forze produttive così ingente abbia dovuto sottostare a una “struttura di sicurezza” come questa. Perché l’avvenire arriva troppo tardi, quando la fune è già logora.
Tra camei eccellenti, da Harvey Keitel a Udo Kier, e una forza visiva ricercata, composta e visivamente appagante, troppo appagante, si tratta di un’occasione non del tutto sfruttata: lì dove forse avremmo trovato ristoro nell’astrazione, c’è un ordine schematico che non possiamo sconvolgere.