MISSION: IMPOSSIBLE III di J.J. Abrams
REGIA: J.J. Abrams
CAST: Tom Cruise, Philip Seymour Hoffman, Michelle Monaghan
SCENEGGIATURA: Alex Kurtzman, Roberto Orci, J.J. Abrams
ANNO: 2006
ANCORA UNA VOLTA: FORMA VS CONTENUTO
Nel modo più semplicistico sarebbe Forma contro Contenuto. Nel linguaggio leggermente più spirituale, Corpo contro Anima. Quindi, necessariamente, noumeno contro fenomeno, con la differenza che le due parti non sarebbero più nettamente (sud)divisibili, in quanto ormai (con)fusione totalitaria di anarchia anatomica (semiologica) incaptabilmente difficile (se non impossibile) da trattare coi bisturi del decoupage. Questo, signore e signori, è il Cinema Post-Moderno. Nel caso di Mission Impossible III, Action Movie Post-Moderno.
E la situazione si pone ancora più difficilmente in quanto per questo episodio, non abbiamo degl’auteurs come i precedenti Brian De Palma e JohnWoo, ma un nuovo arrivato dal mondo (soprattutto) televisivo: JJ Abrams, regista di telefilm come Lost o Felicity.
Dunque, assistiamo ad un vero disequilibrio gerarchico: il baricentro non è più la mano registica, che funge unicamente da “tecnico” anestetizzato che segue per filo e per segno la sceneggiatura nelle sue iperboliche concezioni di “azione”, quindi di dinamismo esplosivamentecoreografato come quei film nei quali paesi come la Tailandia si stan specializzando (pensare ad opere come Ong Bak, tanto per citarne uno). In questo caso, il corpo / la forma cinematografica sembrerebbe al servizio degli stunt-men, delle varie bombe da far esplodere nel set, degl’effetti visivi per correggere eventuali imperfezioni visive, e chiaramente, della gestione diegetica che deframmenta il tempo al ritmo dei battiti cardiaci per dare il massimo della fluidità al grande baraccone danzistico.
Pur essendo sopraffatto da queste limitazioni, Mission Impossible III funziona comunque benissimo. Come Action Movie, almeno in prima apparenza, quindi un perfetto film commerciale pronto a sbancare nei botteghini in attesa degl’altri blockbuster estivi ormai in preparazione nel cassetto.
Eppure c’è qualcosa, ed è questo il bello, che in parte distacca quest’opera dall’essere solamente ed unicamente “un estivo action movie cool”, qualcosa che lo distingue dalla massa, dalle armi letali “divertenti ma niente di più”. Ciò si deve ad un cast che raggruppa tra i migliori esponentidella Hollywood maschile di oggi: Tom Cruise, Philip Seymour Hoffman, e Jonathan Rhys Meyers. 3 attori non indifferenti ed indifferenziati, che magari a prima lettura suonerebbero pure male contenuti in un film d’azione, ma se questo Mission Impossible diventa qualcosa di interessante è anche e soprattutto grazie a loro.
Tom Cruise, che diventa anima ed essenza di questa pellicola, è seriamente uno dei pochi interpreti nel panorama hollywoodiano capaci di dare reale spessore drammatico a film di totale azione come questo: come già fattoci vedere nel recente La guerra dei mondi, l’attore di Jerry Maguire ha una capacità espressiva veramente speciale, con quegl’occhi così comunicativi, così carichi di passione (rabbia, amore, odio) da riuscire a dare umanità ad un personaggio così anti-umano (come la maggioranza delle icone eroistiche) che corrisponde ad action-man fattosi carne ed ossa.
E poi, di contorno, Seymour Hoffman cattivissimo che per una volta implode nella recitazione per abbandonare momentaneamente lesovraccaricature a cui i suoi personaggi ci hanno abituati (vedesi anche l’ultimo Capote, che gl’ha valso l’Oscar), e Rhys Meyers,affascinantemente gigolò ed elegante come pochi altri.
Avere un cast così esteticamente (ed epidermicamente) potente, fa di Mission Impossible III una cometa elitaria nell’Universo Cosmico degl’Action Movie: una volta tanto, non conta solamente il carisma e l’essere iconograficamente cool dei personaggi, ma anche un proprio equilibrio trans-dermico e meta-estetico, perché stavolta essi non dovranno solamente saltare da un palazzo all’altro, prendersi a pugni, o girare in moto e in elicottero, ma anche comunicare sentimentalmente con lo spettatore, far sentire loro verità emozionali come commozione o dolore.
Una volta tanto, corpo e anima s’abbracciano armoniosamente, la forma diventa un tutt’uno col contenuto (sempre se di contenuto si possa realmente parlare in un film bloccato dal genere e dalle convenzioni commerciali ai quali si deve tenere fede), il noumeno e il fenomeno diventano una visione sovrapposta, sovrimpressionata tra le esplosioni e le lacrime.
In questo senso, il frammento di Abrams è una perfetta via di mezzo tra l’episodio di De Palma, da cui riprende l’umanità e la oltre-fisicità, e quello di John Woo, da cui riprende il senso dell’azione non-stop ed ininterrotta per tenere i fanatici sulle nuvole durante la visione dell’opera. Il risultato non può che essere una goduria, coolissimo e iper-fico, il solito action movie che però tanto solito in fondo in fondo non è.