AI CONFINI DEL PARADISO

REGIA: Fatih Akin
SCENEGGIATURA: Fatih Akin
CAST: Nargul Yesilcay, Baki Davrak, Tuncel Kurtiz
ANNO: 2007


A cura di Davide Ticchi

SAPESSI CHE DOLORE L’ESISTENZA

Ma anche “Storie di ordinaria disperazione” si potrebbe intitolare la riflessione che la visione del nuovo film dell’Orso d’Oro Fatih Akin cala dentro il mio animo. Un intreccio elicoidale che espugna le pareti della coscienza universale solo all’apparenza, perché tanto vale riconoscere che film come Ai confini del paradiso non hanno mai estorto suoi rimorsi se non ai soliti frequentatori di discreti cinema d’essai. Frequentate da un pubblico assiduo, propongono una carrellata di dolore e pene umane dalla cadenza ormai annuale in programmazione. E l’appuntamento si rinnova, con tutti i fasti del caso, in occasione dell’uscita di questo nuovo film di una cara vecchia conoscenza dell’ultima generazione di registi europei. Fatih Akin per l’appunto, regista de La sposa turca, storia d’amore della rottura con i canoni classici, convenzionali dello stile di rappresentazione e relazione fra le due metà, ridiscende in pista per raccontare questa volta qualcosa di ben più intimistico e triste. Un flusso di grame esistenze segue il letto che qualcuno ha creato per chi sul libro del mondo ha diritto a scrivere soltanto il proprio nome, affermando che ha sostato su questo pianeta, ma che, anche quando viveva, sembrava poter aspirare a ciò che sta al di là di tutto quel mare aperto che conclude il film, con le sue onde in risacca e gli scogli a delimitarne i confini. Quelli che tutti si augurano giunti al fondo del proprio umore, della propria speranza. In fondo ogni personaggio di questo film, come tutti noi del resto, ha qualcosa da rimproverarsi, da rimpiangere in un mortificante attimo di imponente silenzio.
Il giovane professore universitario, Nejat, che perdona suo padre quando è ormai troppo tardi, la prostituta, Yeter, in cerca di riaffermazione che rimane uccisa accidentalmente prima ancora di metter piede fuori di casa, l’anziano e lascivo padre del professore, Ali, che pone fine alla sua decorosa vecchiaia in carcere, dopo un’accusa di omicidio volontario, e l’abbiente madre tedesca, Susanne, che perde la figlia Lotte ad Istanbul, dove tentava di aiutare un’amica incriminata di attivismo politico, Ayten. Ogni singolo nome, autografato sul grande libro della Passio, è accomunato all’altro dalla tragicità dell’esistere, sensibile lungo l’intera scalata infernale che il film fotografa con nitidezza, prospettiva e maturo rispetto. Non tallona i personaggi con fare sgarbato e invadente, piuttosto li celebra per il loro fiatone che ancora per un po’ riesce a non farli crollare. I corpi di tutti i disgraziati infatti sudano, resistono alle intemperie e perfino alle percosse. Non si scandalizzano di niente oramai e reagiscono ad una vasta gamma di sofferenze immani. Eppure la sceneggiatura di Akin, premiata al 60° Festival di Cannes, continua a disporli al cospetto di giganteschi ostacoli di natura organica, materiale, difficilmente intellettuale, come la Istanbul che ne fa da sfondo. E loro si arrampicano in tutti i modi per poterli superare, annaspando con grande dignità fra gli sconforti di un’esistenza troppo depressa per essere vera.
Tanto più che si avverte un certo disagio durante tutta la visione di Ai confini del paradiso, dettato probabilmente dalla fortuna che ci vede protagonisti nell’abitare un paese non così sfrenatamente fiondato verso il degrado. E nonostante ciò interprete, in questi giorni difficili, di abissali inettitudini alla coesistenza civile.
Ma il quadro d’insieme che si ricava dal minuzioso lavoro di Akin non si limita al pianto sociale di matrice pessimistica. Casomai, al regista turco-tedesco rincresce ma, affidandosi ad un ispirato realismo, si è visto costretto a scardinare qualsiasi tipo di selezione naturale, per raccogliere Nejat, Yeter, Ali, Susanne, Lotte, Ayten in una comunione del dolore cieca, che non discrimina, specie ai confini della Turchia.

(19/11/07)

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