I
L’AMORE NON VA IN VACANZA
REGIA: Nancy Meyers
SCENEGGIATURA: Nancy Meyers
CAST: Cameron Diaz, Kate Winslet, Jude Law,
Jack Black
ANNO: 2006
A cura di Alessandro Tavola
«UN MCROYAL MENU’. SI,
MEDIO. AH, IL PANINO SENZA CETRIOLO E LA COCA SENZA GHIACCIO, GRAZIE. KETCHUP E
MAIONESE»
Visione d’aspettative, già consolidate e quasi germinali, quella di un
film di Nancy Meyers.
Da anni un commediare sostanzialmente stracodificato, ma non per questo (anzi, forse proprio il
contrario) banale, semplice – nella costruzione e nella fruizione –
nel ricalco di un ennesimo schema che è sempre e solo uno, prevedibile quanto
il moto di un pendolo, ma in questo quasi suo perfetto descrivere pulito,
patinato, soavemente disegnato, tendenzialmente affascinante, è quasi
auto-rigenerativo nel ripertersi di frattura,
conflitto e risoluzione.
What women want e Tutto può
succedere, ossia Mel Gibson che fa
Mel Gibson (senza
la pistola) e Diane Keaton
che fa Diane Keaton,
entrambi con imme(le)nso
piacere audiovisivo; ed da subito superfluo chiedersi quale sarà la risultante
di un cast a quattro che sarà valso la quasi totalità di budget col quale in
Italia si arriverebbe a farne almeno 10 di commedie “massicce” come
questa, così come è superfluo chiedersi chi si farà chi e soprattutto quali
saranno i primi ad operare; imbarazzante domandarsi come finirà.
Uno và da McDonald’s perchè
vuole mangiare McDonald’s.
Cinema liofilizzato come prodigio della tecnica, tecnica come quasi scientifico
commisurarsi di grandezze differenti, grandezze differenti da considerarsi
anche al milligrammo, con le quali un piccolo errore potrebbe sfociare in crisi
diabetica o epilettica. Tutto deve essere ben graduato, pena il mandare ogni
cosa a scatafascio. Elizabethtown lo fece e finì
capolavoro, altre decine pure, ma diventarono dvd in
offerta nei centri commerciali.
Omaggio-ricalco del classicismo anni 50’
(ancora oggi funzionante tanto quanto un proverbio), nel mai bloccato flusso
che passa attraverso la malcomprensione del lessico alleniano, guardando a Harry ti presento Sally e suoi derivati ancora (questo è triste però)
come un esempio di pseudoperfezione, andando giù giù fino a Sideways, per poi rifiorire plastico dunque
nell’accostamento di un arcaico lucente e di una modernità collaudatissimi dove vanno a mescolarsi il gioco di coppie
ideali che si incontrano per caso, di pacioccosi
vittime della propria bontà/vittimità e fighi dalla vita (insod)disfatta,
di salotti divisi tra l’extramodernismo californiano e una quasi ruralità londinese, di enologia spiccia che par’essere l’ultimo baluardo del macchiettismo blockbusteriano,
che è tutto sommato multicromatico nella sua
coercizione di essere pittura d’arredamento e non action painting, non graffito da strada.
Commedia americana, sì, dove i protagonisti sono sempre abbastanza ricchi da
poter permettersi di poter pensare ai propri problemi tutto il giorno senza
sfociare nel surrealismo e senza perdere di vista la linearità temporale, dove
l’avviso di chiamata e l’anglosassone guidare sulla sinistra
possono essere ancora luogo di gag e il Natale risolvere tutto nel migliore dei
modi – budino alla fragola (post, qui in Italia)natalizio delittuosamente
buono.
Attori, personaggi e personaggiattori si
sovrappongono quasi idealmente, e questa è la capacità principale della Meyers scrittrice
e direttrice ancora una volta: macchiette di colori primari che sotto la sua
mano di certo non diventano oceani, ma perlomeno piscine abbastanza grandi da
poter permettere più di un punto di vista. (La figura di) Cameron Diaz=Amanda tra isterismi dalle
fattezze anoressiche, Jack Black con
la sua mano in panning, Jude Law che è sia Alfie che Closer, Kate Winslet che incarna (e più che mai con
lei è giusto parlare di carne) la versione più spensieratà
e riassuntiva della molteplicità dei suoi ruoli precedenti, Eli Wallach spettro del cinema del passato.
Nel cantuccio delle aspettative, tutto è perfettamente ampio.
Nel perdurare con comodo e mai di comodo (la durata tira e tira, fermandosi un
attimo prima della pesantezza), i fattori che tappano quei buchi non di piena
competenza della codifica hollywoodiana ecco che sono il vero espletarsi
dell’oltre-tipicità (ma neanche troppo) della
pellicola, ossia la metacinefilia mainstreamiana,
che dà quel piccolo impulso che manda la visione oltre il routinario
da sabato pomeriggio e ci fa sorridentemente
masturbare: la Diaz è una montatrice
di trailer («”Christmas day” scrivilo in rosso, ma un rosso allegro, non un rosso alla Scorsese.») ed è
proprio quell’odiatamata voce a perseguitarla, Jack Black è un compositore di colonne
sonore ed Eli Wallach un ex
sceneggiatore.
Non che si tratti di Protagonisti sul Viale del tramonto, certo, ma è un mezzo
sconfinare - nè nuovo nè
fantastico – che arricchisce o, per meglio dire, diminuisce la povertà di
un film che si prospettava già scritto, prodotto, diretto e montato, iniziato e
finito già prima della visione. Locandina come summa. CVD.
Perchè il problema non sono gli happy ending; no, quelli non annoiano mai. È il modo in cui ci si
arriva a fare la differenza, differenza che qui È Nancy Meyers, che si dimostra uno dei nostri
menù preferiti a Hollywood.
(22/02/07)