ANGEL-A

REGIA: Luc Besson
CAST: Jamel Debbouze, Rie Rasmussen, Gilbert Melki
SCENEGGIATURA: Luc Besson
ANNO: 2005


A cura di Luca Lombardini

IL CIELO SOPRA PARIGI?

Chiariamo subito la questione che ci sta più a cuore. Luc Besson è un personaggio di straordinaria importanza per il cinema europeo, l’unico, a conti fatti, in grado di battagliare con lo strapotere commerciale degli Stati Uniti. In sei anni (tanti ne sono passati dalla sua ultima regia: Kiss of the Dragon) ha reso celebre, nelle vesti di produttore, la sua infallibile formula: 50% azione, 50% sentimenti, che gli ha permesso di ottenere esiti lusinghieri ai box office di mezzo mondo. Comprensibile quindi, che dopo aver finanziato i vari Transporter: Extreme e alcune sorprendenti pellicole come Danny the Dog e Alta Tensione, il cineasta transalpino sia stato colpito dalla sindrome di King Vidor, figura della Hollywood classica avvezzo a girare, con matematica alternanza, “un film per il pubblico e uno per se”.
Stando a quanto si legge nelle sue ultime dichiarazioni, il soggetto di Angel–A è stato custodito gelosamente per anni nell’ultimo cassetto della scrivania, quasi fosse un anello prezioso che si conserva con cura, mentre si sogna di infilarlo al dito della donna con cui hai deciso di trascorrere il resto della vita. Il problema forse sta proprio qui. Besson teneva talmente tanto a questa pellicola, che la pressione che si è auto imposto lo ha fatto andare fuori giri, accelerando nel momento in cui è più prudente procedere a passo d’uomo, e rallentando quando invece si dovrebbe spingere sul gas. Scheggia impazzita all’interno della filmografia del cineasta/produttore, Angel–A si pone fin da subito come tentativo di accedere alle stanze nobili della settima arte: girato in bianco e nero come farebbe il più inesperto degli studenti di regia, quasi a voler accontentare le orde di cinéphiles che considerano migliori i film in bianco e nero perché fa tanto retro e intellettuale, la pellicola si appiattisce ben presto assieme alla pochezza della sceneggiatura, e irrita oltremodo quando sceglie la strada del citazionismo esasperato, saccheggiando, una sequenza si e l’altra pure, i vari La vita è meravigliosa, L’Atalante e Il cielo sopra Berlino; grida a gran voce il suo desiderio di voler apparire per forza come un film francese, nonostante a dirigerlo ci sia un personaggio che ha fatto dell’internazionalità un suo punto di forza. A riempire questo vuoto pneumatico non basta l’impegno del comico televisivo di origini maghrebine Jamel Debbouze: basso, brutto e disperato, salvato ad un nanosecondo dal suicidio dalla statuaria Rie Rasmussen, “depalmiana” femme fatale che gioca a fare la Marlene Dietrich del nuovo millennio, con tanto di chioma biondo platino e sigaretta sempre tra le dita. La storiella che nasce tra “il diavolo” ex banlieusard e “l’angelo” dal fisico mozzafiato non appassiona quasi mai, il ribaltamento dei ruoli, non più l’eroe che salva la bella in modo che quest’ultima gli caschi innamorata tra le braccia ma l’esatto contrario, puzza di alternal – chic posticcio lontano un miglio. L’unica consolazione arriva dalla terza protagonista della pellicola, la sempre presente Parigi: pesante, imponente, viva, nonostante la mediocre fotografia di Thierry Arbogast faccia di tutto per azzerare il fascino degli esterni e il mistero degli interni.
Il film che avrebbe potuto in qualche modo segnare una sorta di svolta artistica nella carriera del Besson regista, si rivela in tutta la sua pochezza come inutile esercizio di stile, una pellicola che non possiede né l’amoralità di fondo della stragrande maggioranza dei suoi lavori, né il potenziale commerciale delle sue opere più conosciute. In AngelA infatti, non c’è la minima traccia dell’irriverenza di Nikita o Leon, e tanto meno i guizzi sperimentali del fantascientifico esordio Le dernier combat. Il pubblico, la massa, quell’entità indistita tanto amata e rincorsa da Besson (“Diamo al pubblico il cinema che vuole”, era solito dire il nostro), non ha gradito. Nonostante le 500 copie messe a disposizione nelle sale d’Oltralpe infatti, Angel–A sta facendo registrare una delle medie di incassi più bassi della storia recente del cinema francese. Un’operazione sicuramente coraggiosa e controcorrente, ma non sempre (purtroppo o per fortuna, dipende da come la si guarda) il coraggio paga.

(23/03/06)

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