ANGELI PERDUTI

REGIA: Wong Kar Wai
CAST: Tony Leung, Takeshi Kaneshiro, Michelle Reis
SCENEGGIATURA: Wong Kar Wai
ANNO: 1995


A cura di Pierre Hombrebueno

ADDIO RAGAZZA POSACENERE

(Olocausti esistenziali) - Interessante che ci occupiamo di Angeli Perduti proprio in questi giorni in cui Enrico Ghezzi – Fuori Orario – sta (oltre)sviscerando proprio un percorso (demon)angelico, di etrAnge(s) scesi dal cielo alla terra o dalla terra al cielo, insomma di angeli perduti o perduti angeli.
Sequel onorario (e indiretto) di quel capolavoro di Hong Kong Express, Angeli Perduti ne delinea precocemente il lato più oscuro e cupo, trasformando di fatto i personaggi del Chungking (i veri angeli, in un certo senso) in assassini, procacciatrici simil-tendenzialmente-puttaniane, ladri ed aggressori. Eppure il contorno è la stessa Hong Kong desolata e desolante, ancora piena delle sue luci al neon e del fumo delle sigarette che come nebbia invadono i sottosuoli e i sottosobborghi, una Hong Kong che questa volta però viene messa a raggi x, creando quei sensi oltre il visivo, suscitando una sporcizia e un sentimento (a pelle) di viscido e di luridamente degradato come sapeva fare quel Cronenberg anni 80’ che invece di incitare ed eccitare (solo) il senso degl’occhi, riusciva anche ad essere Cinema olfattivo e tattile-dermico nello stesso tempo, come se una puzza dilagante di piscia e merda ci sia continuamente messa sotto il naso, come se toccassimo con le nostre mani quella ruvidezza della rottura, con la differenza che le finalità Cronenerghiane erano le viscere psicologiche, mentre in Kar Wai la poesia dark.
Non sappiamo se è grazie alla fotografia oscura (oscurissima) di Christopher Doyle, o se è per merito della scelta azzeccatissima delle location dei quartieri più ghettizzati, o se è ancora una volta per quella macchina da presa così distorta e distorcente con le inquadrature così spazialmente disordinate e apparentemente scelte (quasi) a caso, o se è invece per l’uso dei tempi, così (dei primi) godardiani, in un continuo aggredire la diegesi e frammentare la linearità enunciativa ed ottenere un effetto di frastornamento mentale oltre che visivo.
Saranno tutti questi elementi, a sottolineare che nonostante una diretta immaturità nell’apparente approccio (tutto appare nel Cinema di Kar Wai, e nulla è nel reale), persiste invece nell’autore hongkonghese una gestione totale dei suoi film, lucidissima nella sua illucidità in un intricarsi complementare tra elementi cinematografici ed extracinematografici, tra persone e personaggi, luoghi e spazi, pensieri e allucinazioni, voci e voice off.
Sembra di trovarci in un Tsai Ming Liang ancora più urbano e simil-giovanile, seppur quest’ultimo continua a conservare quell’alienazione del fare Cinema in senso asiatico dai tempi degl’Ozu, mentre l’alienazione KarWaiana diventa simil-videoclip o pittura che non delinea visi-corpi-anime, bensì l’emozione espressionista e repressa manifestatesi nei quadri: in fondo Cinema di silenzi e (pre)meditazioni, non osserviamo questi corpi volteggiare nella loro fantasmagorica (non) esistenza (le inquadrature sono spesso piani totali, e in quelle volte in cui pare avvicinarsi alla fisicità si delinea invece in dettagli, come le abbondanti sigarette – simbolo per eccellenza della solitudine e in fondo, dell’auto-distruzione), bensì l’estetica atmosferica delle malinconie, accompagnate da pensieri quasi sempre in fuori campo, forse un modo per distaccare il materialismo dallo spiritualismo, in fondo parliamo sempre di angeli – luciferi(?) caduti e raccolti.
Ma non per questo dobbiamo prendere i personaggi di quest’opera come semplici manichini sentimentali, in quanto Kar Wai ne mostra una profonda caratterizzazione, seppur pop, seppur rock, seppur con evidenti segni di eccentricità e surrealismo, in particolare il ragazzo muto trasfigurato in Takeshi Kaneshiro, che sembra uscito direttamente da un manga di Ai Yazawa o da un romanzo emo di Banana Yoshimoto. Uno che cambia il colore dei capelli nel momento in cui s’innamora, forse perché l’amore è l’unica forza capace di queste magie in quanto l’amore stesso non è che magia, che poi scopriremo essere utopia. Infatti, al contrario di Hong Kong Express, in Angeli Perduti abbiamo la consapevolezza pessimista del sentimento amoroso come inizio della fine, che però non impedisce (purtroppo o per fortuna) alle persone di innamorarsi, come un branco di masochisti che si buttano in un pozzo pur sapendo che in fondo gli spettano delle spine più taglienti dei coltelli affilati, come a dirci che il futuro in fondo non conta, perché l’importante è il presente, il piacere dell’istante, dell’immediatamente toccabile, sognante.
“So che sarebbe finita presto, ma in quel momento ero felice”. In qualche modo Kar Wai ci condanna alla tristezza come emblema stessa dell’essere umano (gl’angeli sono dunque, esseri umani?), ma non rinuncia al sogno e all’utopia, al provare esperienze, storia e storie, perché questa non è che la vita, un intreccio a forma di puzzle che (dis)unisce ectoplasmi vaganti per puro caso (altra tematica fondamentale dell’autore Kar Wai: il fatalismo).
Sparisce il casino globalizzato di Hong Kong Express, le città si svuotano ancora di più per evidenziare al massimo l’alienazione di questi angeli. Persino McDonalds è svuotato. Kar Wai ci prende per mano e ci porta in questo viaggio simil-onirico, non più caleidoscopico come ChungKing ma un vero acido insonne e sonnambulo, ossigenante, insettico e semi-divino. Angelico, appunto. Tra ragazze posacenere, cupidi anti-proiettili, regine burgher, occhineri, guardoni e narcolettici, in un continuo andare tra angoscia e dolcezza, poesia e paralisi, arte post-moderna e arte dei sensi e dei sentimenti.
Insieme a Hong Kong Express, Angeli Perduti è la miglior opera di Wong Kar Wai, nonché tra le più belle di tutti gl’anni 90’ e della storia del Cinema. Irrimediabilmente prima di uccidersi (suicidarsi) lentamente, inizialmente con In the mood for love, e successivamente con 2046. Per questo la ragazza posacenere e i suoi fiocchi proibiti continuano a mancarci, ora più che mai.

(19/02/06)

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