BITTERSWEET LIFE

REGIA: Kim Ji-woon
CAST: Hwang Jeong-min, Jin Ku, Kin Hae-gon
SCENEGGIATURA: Kim Ji-woon
ANNO: 2005


A cura di Andrea Magagnato

EROS SEGRETO E THANATOS OSTENTATO

Mentre la società odierna sprofonda irrefrenabilmente nella violenza più gratuita, verso una raccapricciante e sempre più spiccata tendenza al sadismo mediatico, di cui si è ormai assuefatti, dove si fa a gara per immortalare per primi col la camera del cellurare la tragedia della porta accanto, dove anche il cinema asseconda questa ondata malata elaborando storie sempre più depravate di enigmisti maniaci ed ostelli-macelleria, una ex promessa coreana della regia (ormai divenuta realtà) che di nome fa Kim Ji-woon racconta, servendosi di un genere, una storia amara e rassegnata di un individuo che da questo vortice di inspiegabile ferocia e spirito vendicativo non riesce proprio ad uscire.
Un racconto lineare e pulito (per una volta niente flashback, capitoli, o zig zag temporali) che parla anche di una storia d’amore mai iniziata eppure così viva e sentita da commuovere chi guarda in un finale altissimo, tra i più tesi ed angoscianti che, chi scrive, abbia mai visto.
La trama è scarna, banale se si vuole, ma portata sullo schermo con una maestria e padronanza del mezzo assolute, testimoniate da un ottimo gusto per la scelta delle inquadrature, molte volte emblematiche della situazione o altamente simboliche.
Un giovane e promettente sicario deve “salvaguardare” la vita amorosa della ragazza di cui si è infatuato il suo capo mentre quest’ultimo si assenta per qualche giorno.
La ragazzina, messa sotto custodia, viene sorpresa però con uno studente coetaneo di cui afferma essere innamorata.
E’ allora che il sicario commette l’errore che gli costerà, nel proseguo della vicenda, sangue, ritorsioni e dolori: perdona la ragazza per la sua scappatella e lascia libero di andarsene il compagno amante.
Un solo e brevissimo cedimento al proprio sentimento, un perdono suggerito dall’amore, e Sun-woo (è questo il nome del giovane protagonista) sarà costretto ad entrare suo malgrado e contro ogni volontà in una sanguinosa spirale vendicativa che lo vedrà prima come vittima poi come carnefice.
Anche quando veste i panni di freddo killer che non perdona Sun-woo è comunque sempre vittima: le domande esistenziali del “perché questo” e “perché io” lo accompagneranno ad ogni esecuzione .
Cerca queste risposte in quelli che prima gli erano complici e che ora gli voltano le spalle per quel cedimento di pochi attimi equivalente ad un atto d’amore.
I suoi dubbi sono in realtà posti ad una sfera ancora più alta, quasi chiedersi se esista un fato cinico ed accanito che non gli permetta da killer di farsi uomo.
Sun-woo infatti vivrà fino alla fine con l’impossibilità, o il rifiuto, o la paura, di esternare le proprie emozioni e sentimenti nei confronti di quella donna che per lui doveva essere solo un “lavoretto facile facile”. Anche quando glielo viene imposto sceglie piuttosto di combattere.
E’ questo allora il ritratto della modernità?
Kim Ji-woon ci avverte: andiamo sempre più verso ad una chiusura, all’introversione, alla censura, degli impulsi più fragili, genuini, caldi con dall’altro canto, la denuncia, l’esternazione libera e incontrollabile di quelli più violenti come passione, vendetta, risentimento, gelosia.
Il regista tratta davvero la violenza come materia incontrollabile, insieme di pulsioni che si traducono fin troppo gratuitamente in atti e l’amore come sentimento represso e negato.
Nonostante la forte passione autoriale, il film rimane pur sempre legato ad un genere ed è pensato per presentarsi anche ad un pubblico da multisala (in Korea però non ha ottenuto grossi consensi dagli spettatori paganti), per questo (ma non solo) è elegantemente rivestito da sequenze d’azione montate impeccabilmente e di siparietti grotteschi che non mancano di strappare qualche sorriso (non certo nuovo per un regista che è nato con un deciso gusto per l’ironia ed il surreale, vedere precedenti lavori).
Rimangono comunque impresse certe fortissime immagini, come quando la macchina da presa si alza in una breve inquadratura che ha dell’apocalittico: diviene sguardo divino che osserva il corpo inginocchiato di Sun-woo che, ricoperto di lividi e sangue in una notte di fango e pioggia, staziona inerme ed in attesa di giudizio davanti ad una schiera di ombrelli neri.
O l’ultima: Sun-woo prende a pugni, con aria bambinesca, il riflesso sulla vetrata della città immersa nella notte.
Gesto di sfida dal retrogusto fanciullesco che suggerisce ancora più assurdità allo spettacolo a cui abbiamo appena assistito inorriditi.

(31/04/06)

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