BUBBLE

REGIA: Steven Soderbergh
CAST: Debbie Doebereiner, Dustin Ashley, Misty Wilkins
SCENEGGIATURA: Coleman Hough
ANNO: 2005


A cura di Davide Ticchi

CIO’ CHE NON E’ APPARE

Così anche Soderbergh decide di abbandonarsi sofficemente fra le braccia dell’ultimamente molto ricercata follia cinematografica, trattata con distacco oramai da qualsiasi regista ne analizzi l’ottica in un suo film, quasi sempre deviata, o limitata a pretesto per nuovi archetipi teorici e narrativi. Il noto regista (anti)hollywoodiano decide di ostacolarsi il cammino, per riscoprire le vere radici di uno sguardo cinematografico risucchiatogli fino a ieri da grandi budget, nomi e dagli ancor più irragionevoli incassi. Il suo cinema prima d’ora, si mostrava infatti condizionato da un pubblico referente che richiedeva capacità di coinvolgimento, più dagli attori che lo rappresentavano che dalla personalizzata visione narrativa per immagini del regista, di opere prima rivolte al sociale, poi alla rivisitazione fantascientifica, e infine al puro entertainment di ampia fruibilità. Con Bubble Steven Soderbergh affronta un nuovo tracciato periferico, depistato da ossuti caratteri narrativi che impongono lentezza e linearità di montaggio, lunghi silenzi e massima coordinazione fra i protagonisti e gli esili dialoghi. Appare come una tappa inevitabile quella di Bubble, che ci parla di psiche, sociale ed esistenza umana, proprio in quella forma nitida e pulita che ha caratterizzato registi come Gus Van Sant per mezzo di Elephant e David Lynch con Una storia vera. Soderbergh sceglie un percorso ancor più subordinato per la concisa rappresentazione dei fatti, e cerca in tutti i modi di aggirarla nella prima parte, preferendo altresì una distaccata attenzione rivolta al lavoro dei suoi protagonisti, che realizzano bambole di gomma e vengono raffigurati in maniera semidocumentaristica. Questo semplice sistema d’illustrazione dei fatti, che coniuga uno script sostanzialmente di fiction ad uno stile prettamente descrittivo, ha permesso al regista di realizzare Bubble in sole tre settimane, con un cast interamente non professionista, e rivelando al mondo del cinema professionale, le potenzialità in scala universale dell’immagine in movimento filmata con mezzo digitale.
Nella provincia americana vi è un piccolo villaggio, convergente su tante e dislocate industrie plastiche e siderurgiche, che offrono occupazione e di che vivere agli abitanti locali. Martha è una donna fondamentalmente triste e con grossi problemi di peso, ma che riversa tutta la sua sensibilità celata verso il padre anziano con cui vive e il timido e giovane amico Kyle, che lavora con lei in una fabbrica di bambole. Un giorno però arriva Rose, una nuova assunta della fabbrica, ragazza madre e con ancora seri disagi sentimentali, che s’innamora di Kyle e lo sottrae all’intima amicizia con Martha, la quale reazione sarà di estrema gelosia.
Umanamente vicino allo spettatore, così come le sensazioni si vivono allo stato comportamentale, con un normale climax di cause ed effetti, senza l’implicazione d’altri fattori psicologici e devianti, come invece spesso accade in questo genere di film. La così netta divisione in due metà opposte del plot, porta Bubble ad una precisa differenziazione cinematografica e semantica delle due parti che lo compongono, dato che mentre prima si parla di incomunicabilità e rarefazione dei sentimenti, dopo il messaggio si riversa nell’indagine psicologica e nella violenza più mascherata. La provincia americana e il trascuramento dei rapporti umani e istituzionali che essa provoca, porta l’uomo a creare quei fantasmi e quelle paure giustificate dalla sola schizofrenia esistenziale. Così come avvertito in precedenza da Van Sant, De Heer e Clark, anche Soderbergh si lega alla presa coscienza cinematografica delle realtà subordinate esistenti nel continente americano, deviate dalla loro posizione geopolitica e fautrici d’azioni per le quali nessuno ammetterà mai il compimento.
Pensato per una distribuzione mediatica, il film presentato fuori concorso a Venezia 62 è stato annunciato come uscita imminente nel campo dell’home video, anche se ci sono buone speranze, che possa poi comparire tra i manifesti di una qualche ostinata sala cinematografica di periferia.

(25/09/05)

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