IL CAIMANO
REGIA: Nanni Moretti
CAST: Silvio Orlando, Margherita Buy, Nanni Moretti
SCENEGGIATURA: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli
ANNO: 2006
A cura di Pierre Hombrebueno
ASTRATTEZZA CINEMATOGRAFICA CELATA
IN PSEUDO-POLITICA
Il Caimano è un film magnifico nella
sua stranezza. Oppure strano nella sua magnificenza.
Strano ma nel contempo prevedibile nella suo essere
così astratto, nell’essere propriamente un film di Nanni Moretti, del Nanni
Moretti personale/personalizzato che tramite quest’opera
necessaria rilegge un’Italia (non italianistica
– cit.) attraverso un’autobiografia indiretta: quella
dell’Uomo di Cinema, della sfera personale, e dell’uomo di
Politica. 3 Versanti che si mescolano, rigettandosi e inculcandosi in una
sintassi che moltissimi hanno criticato, per questa illinearità che compone il trio. Noi sappiamo invece di
trovarci davanti ad un grande(grandissimo) film, di quelli incoglibili
a prima visione proprio per la sua astrattezza, per la sua vastità di sfumature
nella costruzione incodificabile perché così vasto di
significazioni ed allegorie, che si mescolano tra sogno e proiezione, dilemma
ed onirico. Vedere Il Caimano una
sola volta equivale esattamente a non vederlo. Vederlo 5 volte consecutive,
idem.
S’inizia nella versante meta-cinematografica,
denigrando immediatamente il post-moderno (Quentin Tarantino) per innalzare la bandiera della vecchia scuola
italiana. Direttamente uno sguardo fugace ma incisivo per omaggiare
i vari Castellari, Lenzi, DiLeo, incarnatosi improvvisamente in questo produttore
alter-ego del Moretti
che tenta di rifarsi una strada nel Cinema. Ed improvvisamente, il passato
incontra il presente: Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Carlo
Mazzacurati, Paolo Virzì
et affini, tutti lì insieme al Moretti spirituale uomo di
Cinema, ad apparire come fantasmi incrociati della vecchia nuova faccia del
Cinema Italiano, perché Il Caimano è
innanzitutto un’opera verso la settima arte, e sviscera nel più semplice
dei modi tutto il suo meccanismo più aspro, come già fece Billy Wilder in Viale del tramonto. E’ un mondo in realtà agro, fatto di eroi romantici e perdenti, pierrotiani
supplicanti e supplichevoli rappresentati perfettamente dalla fotogenia di Silvio Orlando, magnificamente intenso
nel raffigurare il fallimento di un uomo ormai professionalmente incenerito,
alla ribalta come quel Calvero Chapliniano.
Lucidi e chiari riferimenti, frasi volanti (“Dino Risi non lo invita più”) per uno sguardo malinconico ma
sempre magico verso il backstage della celluloide, piena di citazioni più o
meno esplicite che vanno da Fellini a Pasolini.
Il Cinema, poi, si riflette nella vita, nell’uomo che sta al di fuori
della veste di produttore. E’ sempre Silvio Orlando a rappresentarci, questa
volta insieme a Margherita Buy. Una famiglia segretamente in
crollo, come già mostratoci in La stanza
del figlio, con la differenza che qui Moretti
inserisce la sua classica ironia capace di farci ridere anche nei momenti più
drammatici, di tingere le lacrime di risate o di sorrisi i pianti, fino a
culminare in quella meravigliosa scena dei due coniugi che s’inseguono
con la macchina sotto le note di The Blower’s daughter di Damien Rice: la
rottura coniugale, che dovrebbe essere il momento più sofferto e melodrammatico
della narrazione, diventa invece la parte più dolce ed enfatizzata, come a
dirci che nonostante ogni rottura possibile immaginabile, l’affetto che
ha legato due persone amatosi è ormai indelebile, e rimarrà per sempre scolpito.
Soulmates never die, appunto. Nanni Moretti si ritaglia giustamente questo piccolo spazio
enfatico, forse il suo lato più romantico, di sicuro quello più idealista,
perché ancora più importante del Cinema e della Politica ci sono la Famiglia e
l’Amore, centri motore dell’essenza che si fa esistenza.
Infine, la parte che i più aspettavano, la diretta fase politica di questo
regista di sinistra comunque consapevole di non essere di parte, disegnando un Berlusconi che
inizialmente ricorda Darth Vader, con
tanto di pseudo marcia imperiale, per poi diventare
il male in persona, tenebroso e ombratile, cupo nella propria concezione
grottesca nell’ultima scena che ha tanto dell’inquietante quanto
del brividoso.
Nanni Moretti
non è Michael Moore, né tantomeno Dino Risi,
così come la parte dedicata a Berlusconi non è
una fazione girata in modo politica, ma come un sogno onirico che interrompe
improvvisamente l’enunciazione per addentrarsi nelle più viscerevoli caverne del produttore che s’immagina il
film che in realtà non farà mai, come quel Truffaut pervaso da incubi in Effetto Notte. Il Berlusconi diventa una visione
irrealistica ed onirica, ancora una volta astratta (tantopiù
che è interpretato da Moretti in
persona), una visione puramente cinematografica che vive (e muore) nella sua
voluta finzione: questa volta la realtà s’è realmente contemplata col
Cinema diventando un tutt’uno. La Politica
diventa narrazione filmica anti-documentaristica, anti
michael-moore quindi, in quanto
a Moretti interessa la messa in scena
e la “creazione”, la rilettura non attraverso la realtà televisiva
ma attraverso l’illusione prettamente artistica, per quanto specchio
indiretto della società.
In Il Caimano, dunque, Nanni Moretti s’incarna almeno in
3 personaggi: Silvio Orlando, il
produttore che riflette la malinconia derivata dalla sua sfera famigliare, Jasmine Trinca, la regista esordiente, e Nanni Moretti stesso trasformatosi in Silvio Berlusconi.
3 Facce della stessa medaglia per raccontarci questa Italia
ormai piccola piccola e questo Cinema spogliato della
sua hollywoodianeità. Un film dalla
complessità ancor maggiore di quanto appare, tra il vago e l’indefinito,
sfuggente e sfuggevole, ma con una sicura marca indelebile in chi si propone di
assimilare queste immagini e queste parole che scorrono. Un film di
mimesi, sotto più punti di vista satirizzante, capace
di prendersi beffa dell’Italia e del sistema mediatico
italiano dentro lo schermo e anche fuori (quei giornalisti dei quotidiani in
caccia di scoop che hanno scritto e inventato di tutto su questo film ancora
prima della sua uscita). Nel fare tutto questo, Nanni Moretti ha già vinto,
dimostrando di fatto la sua tesi contro questa
borghesia ormai condannata alla mediocrità. Un atto
d’amore che è contemporaneamente atto d’accusa senza possibilità
d’essere assolta. Noi lievitiamo con lui, aspettando di rivedere, rivedere, e di nuovo rivedere questo Caimano, pur essendo consapevoli dell’impossibilità di
captarlo totalmente se non a distanza di tempo, e incoraggiando la sua –
si spera – rappresentanza della nostra bandiera al prossimo Festival di
Cannes sotto Kar-Wai.
(09/04/06)