IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA
REGIA: Byambasuren Davaa
CAST: Nansal Batchuluun, Urjindorj Batchuluun, Buyandulam Daramdadi Batchuluun
SCENEGGIATURA: Byambasuren Davaa
ANNO: 2005
A cura di Davide Ticchi
LA STORIA DEL CANE GIALLO CHE
PIANGE
Un racconto fantastico, una leggenda tramandata negli anni, una piccola favola
utilizzata a fini didattici. La storia del “Cane giallo della Mongolia”
parla delle vicissitudini di una famiglia in cui la primogenita si ammala
gravemente e i genitori chiedono aiuto ad un vecchio saggio guaritore, che
rintraccia nel cane posseduto dalla stessa bambina l’unica ragione di ogni male. Il cane infatti
sembra portatore della rabbia e perciò non viene ucciso dal padre del bambino
ma comunque nascosto dentro una grotta sulle montagne, e nutrito
quotidianamente dall’uomo. Questo consente alla ragazza di guarire
lentamente e conoscere un compagno con il quale sposarsi e andare a vivere
insieme, con il cane che nel frattempo, sanato, lascerà la grotta.
Questa novella, che esplicita chiare influenze
culturali e simboliche di terre e tradizioni lontane alle nostre, grazie alla
semplicità ed alla compiutezza narrativa e morale di cui è portatrice, si rende
felice esempio archetipico della suggestione e
dell’incanto provato dai bambini nel venire a conoscere certe disgrazie
della vita, e certe soluzioni fantastiche fino ad un attimo prima insperate. Il
tema della leggenda formativa e la componente della
sviluppata astrazione tipica dei bambini, rappresentati costantemente da
prominenti paesaggi di algida bellezza, fanno da cornice al versante più
realistico e pastorizio della pellicola, dove viene invece inscenata la
quotidianità, fatta di piccole cose, che sono poi il film.
L’introduzione dell’opera, rappresentata in rilievo su uno sfondo
grandemente suggestivo dove un sole arancio ricopre
quasi l’integrità dello schermo, preannuncia la morale, la massima che il
film vuole esprimere, attraverso l’immagine immortale, eterna, statuaria,
di una bambina con il suo papà che seppellisce un cane, sistemandolo con la
coda vicino alla testa e sostenendo che così facendo: “egli nascerà uomo,
altrimenti resterà cane”. Forse trattasi di ellissi
temporale, o magari di leggenda orale semplicemente trasformatasi in immagini e
suono, fatto sta che tale sequenza risuona come una morale anticipata e
inequivocabile per l’intera durata del film, accompagnata da altri
episodi di simil valore, come quello dei chicchi di
riso sopra un ago, sul quale nessuno si ferma, e per questo ogni vita umana è
tanto importante. Ebbene, per mezzo di ognuna di queste piccole storie viene ad
emergere un’importante considerazione sulla vita, sull’importanza
della pace, dei sentimenti buoni e dell’amore, di tutte quelle virtù, cioè, che rendono l’individuo formato. Per questo viene dato particolare rilievo all’impegno scolastico
della piccola protagonista, che dà il buon esempio al fratello e alla sorella
minori, che inizia a portare a pascolare il gregge col cavallo, che trova un
piccolo cane all’interno di una grotta e lo porta via con sé, e che alla
fine si perde causa una tempesta, ma raggiunge la casa di una vecchia signora
che gli racconterà la storia del “cane giallo della Mongolia”. Non
c’è niente di più sensazionale che astrarsi alle vicende tramandate nel
tempo e narrate ora da una voce senile e musicale, che quasi si perde nel
tempo. E infatti il secondo lungometraggio di Byambasuren Davaa è un
opera che si slega da ogni riferimento temporale, esclusi alcuni elementi,
dettagli all’interno dei quadri solenni che si susseguono teneri e
friabili all’interno del film. Sensazioni di grande
dolcezza e serenità emanano appunto i visi paffuti dei piccoli protagonisti,
amati dai rispettivi genitori e dalla natura, che è loro culla e maestra di
vita.
Ma tutto il pathos de Il cane giallo della mongolia è destinato
alla fine a ricevere un importante ammonimento, mentre la famiglia nomade si
sposta in carovana dopo aver passato l’estate nella “vallata della
vita”, un camioncino invita con un microfono a votare e far parte della
vita cittadina per il bene dello stato mongolo. Le strade della famiglia Batchuluun e dello stato/camioncino sono opposte, questo
significa che la città sta assorbendo ormai le famiglie nomadi della Mongolia,
ma anche che alcune di esse non desistono a ciò in
virtù di un forte ideale formativo, culturale ed umano. Sempre, comunque, legato a semplici leggende.
(09/05/06)