Cannes 2018 / MIX Festival Milano: Un couteau dans le cœur di Yann Gonzalez
REGIA: Yann Gonzalez
SCENEGGIATURA: Yann Gonzalez, Cristiano Mangione
CAST: Vanessa Paradis, Nicolas Maury, Kate Moran
ANNO: 2018
PRODUZIONE: Francia, Messico, Svizzera
Dopo l’esordio esplosivo di Les rencontres d’après minuit, era giustificatissima la febbre per il nuovo film di Yann Gonzalez. Cosa aspettarsi dopo una favola glam semi-astratta e dream-pop? Qualcosa di identico, qualcosa di completamente diverso.
Con Un couteau dans le cœur (o se preferite chiamarlo con il suo graphic title internazionale, Knife + Heart) siamo purtroppo più vicini al primo caso. Se con l’opera precedente quelle che adesso appaiono in tutto e per tutto come fisime (le maschere, le atmosfre fosche e 70ggianti) godevano di quell’amabile squilibrio estetico tra pudore registico e totale sfrontatezza, cioè di quella rudimentalità di chi esordisce in modo ipertrofico, caricando senza freni il proprio film come se fosse l’ultimo finendo col trasformare l’idea originale in un mondo parallelo che di un plot ha solo la minima necessità, adesso ci ritroviamo con un sovraccarico di stimoli quasi disturbanti rispetto alla visione.
Volendo riassumere, Un couteau dans le cœur è un giallo, sia nell’accezione italiana che comprende qualsiasi caccia all’assassino, sia nell’accezione internazionale che vuole che il termine si riferisca unicamente ad uno dei più goduriosi filoni nostrani del passato. Un giallo ascendente con tutti i crismi del genere, a partire da uno strabiliante incipit, per poi ammorbidirsi suoi personaggi scaraventandoli poi nell’indagine fino alla conclusione: come in una formula matematica d’assoluta certezza, capace di rispolverare stilemi, cliché e compagnia bella. Un potenziale spettacolo cinematografico tanto semplice e scientifico quanto difficile da reinventare.
Ma è appunto la reinvenzione a mancare a Gonzalez. Se il suo cinema iniziava già in modo del tutto “digestivo” e predeterminato, adesso tutto il suo nerding, invece che diventare sostanza e ragion d’essere, si presenta come un esoscheletro, come una maschera (senza contare che il film ne è pieno) disorganica rispetto al tutto.
Non passa un minuto di Un couteau dans le cœur senza un brivido, uno stimolo, una risata o un sobbalzo. Ma si tratta di piacevolissimi traumi fotografici e d’evocazione, ma poche volte cinematografici. Non a caso (maledizione di troppi film), è l’incipit (lì dove il cinema è al suo massimo e il film non è praticamente ancora iniziato) uno dei momenti più conturbanti, seducenti e terrificanti, mentre la vicenda è destinata a scorrere, in progressiva semplificazione, intervallata da parentesi (d’assassinii, romantiche o para-onirische) in totale fuori-tempo con il resto. Lì dove il Gonzalez dei costumi, delle luci, della fotografia, del sesso esplicito, della musica (degli M83 questa volta più morigerati del solito) si esalta, il film ne risente, e non per un eccesso registico, tutt’altro: per dimenticanza direzionale.
Se a menadito si possono indicare i punti di riferimento principali – Fassbinder, De Palma, la pornografia vintage, il glam e i foschi 70s) – si rischia di rimanere solo con quelli e un pugno di mosche (e non di velluto grigio). Perché il furore feticista ed estetico di Gonzalez appare in tutto e per tutto, in questo “difficile” secondo film, pointless. Se, rubando le parole di Luca Guadagnino, «De Palma è un esteta, ma è anche un grande umanista», la stessa cosa non si può dire di Gonzalez, in cui il raccapriccio, il romanticismo torvo, il sesso e la disperazione dominano una landa desolata che, almeno questa volta, sembra non avere molto da raccontare.
Rimane indubbio il fatto che la stragrande maggioranza dei registi se lo sogna un immaginario così grondante e potenzialmente esplosivo. Ma gli immaginari (che qui dominano), come le idee (che invece latitano), rimangono aria finché non vengono trasformati in altro.