CAOS CALMO

REGIA: Antonello Grimaldi
SCENEGGIATURA: Nanni Moretti, Laura Paolucci, Francesco Piccolo
CAST: Nanni Moretti, Alessandro Gassman, Valeria Golino
ANNO: 2008


A cura di Pierre Hombrebueno

TROPPO LEXOTAN FA DIVENTARE AMEBE

A dire il vero non persiste affatto del caos in questa pellicola. O perlomeno, Grimaldi lo sottintende automaticamente pensando di non doversi nemmeno prendere la briga di mostrarcelo. Che poi, è palese che il disturbo c’è, parlando di un’elaborazione del lutto, una perdita della cognizione spazio-temporale, della propria routine dell’essere e dell’esserci nel mondo. Ma è un caos che in questo caso diventa invisibile e impercettibile, se non nell’atto stesso della meccanicità ripetitiva del Moretti attore confinato guardiano fuori dalla scuola della figlia, quindi un caos che però è già automaticamente ordine nel suo stesso compiersi. La verità è che a forza di voler implicitare il soffrire, a tenerlo celato, controllato, appunto “calmo”, il rischio maggiore è l’anestetizzarsi totale del nostro approccio con l’opera e col dolore stesso che il film sottintende a narrare. Al protagonista hanno somministrato del Lexotan. Di conseguenza, anche il regista probabilmente era sotto Lexotan. Fin qui va benissimo, se soltanto anche lo spettatore non finisca sedato dalla visione che ha davanti.
Grimaldi mette in scena un dramma internato la cui prima importante mancanza risiede nel dramma stesso; pretende di parlare in silenzio eppur si ricopre di voce ridondante in fuoricampo (flussi di coscienza più inutili che brutti, esattamente come il film); cerca di abolire l’enfatizzazione esplicita ma non riesce mai a calcare una qualsivoglia suggestione psicologica o comunque evocativa. Siamo in un territorio di pura anestetizzazione, e se in ciò l’opera riesce nel rispecchiarci allo stesso grado zero emotivo del protagonista, dall’altra ci vieta con dogmatismo più radicale ogni possibile amore per questo film, anche e soprattutto per il motivo che noi odiamo il Lexotan. Dateci pure degli allucinogeni, ma vi prego non somministrateci fottuti sedativi che noi siamo giovani e vogliamo essere perennemente scossi e tremolati: per moralità e principio rifiutiamo e sputiamo ad ogni tipo di Cinema che pone lo spettatore allo stato vegetativo. Perché del calmo di questo caos possiamo fare poco o niente, in quanto è un tirare avanti di espedienti casuali e affatto ri-elaborati (in ciò il primo difetto risale nella sceneggiatura), con Moretti tutto il sacrosanto giorno nel giardinetto davanti scuola a parlare con amici-pseudoamici-colleghi-pseudicolleghi-passanti-parenti-nonparenti, dove però ogni incontro non solo non aggiunge niente a quanto già sappiamo e proviamo (emo-tiviamo), ma addirittura appesantisce di volta in volta la pellicola di ripetitività e automatica indifferenza, per non parlare di noia.
Capiamoci: Caos Calmo ha un inizio, una ri-elaborazione di plastica, e una fine. Ciò che manca, in tutto questo, è un climax ascendente che ci accompagni nel viaggio anestetico propostoci, in quanto la macchina da presa non è mai capace di dare un reale senso (né estetico né metaforico) alle immagini che riprende, finendo per auto-annullare anche la tanta promossa scena erotica tra Moretti e Isabella Ferrari, tanto forte e animalesca quanto inutile e fine a sé stessa: persino ciò che dovrebbe essere la disperazione sessuale perde la propria significazione perché inserita in un intreccio incapace di avvalorarla.
Eppure il plot non manca di spunti interessanti (a cominciare dal salvataggio di una donna sconosciuta al prezzo della morte della propria moglie), ma non solo non vengono sfruttati, bensì spariscono addirittura da ogni congegno psicologico come bolle di sapone nell’aria. Ciò che capiamo è che il regista ha voluto indagare sotterraneamente ma in modo inefficace, in quanto manca di una forza dell’immagine così come di una stimolazione del pensiero: il tutto è appunto così anestetizzato da diventare anestetizzante, ma non di quell’anestesia che altri Auteur han saputo legare a riflessioni (sia cinematografiche che intellettuali) di ben altro spessore (che dire di Kaurismaki?), ma di un’opera che nel suo (non) compiersi svela la propria mancanza di un reale qualcosa da trasmettere.
Allora si, Caos Calmo è un film su una morte mai percepita e immediatamente rimossa e cancellata, di un’elaborazione del lutto così introversiva da non lasciare niente all’estro (cioè noi che dall’esterno assistiamo), e di personaggi – tanti e troppi, da Valeria Golino ad Alessandro Gassman, passando per Silvio Orlando e addirittura il Sommo Roman Polanski in super cameo – che sono lì senza ruolo e senza un perché giustificato o giustificabile.
Eppure la sceneggiatura è di Moretti, che precedentemente, trattando sempre di lutto improvviso, ha saputo regalarci uno dei massimi film italiani degl’ultimi tempi, La stanza del figlio. Ma ovviamente conta ancora una volta chi sta dietro la macchina da presa, il regista, in questo caso Antonio Grimaldi, ingaggiato fresco fresco dalle puntate di Distretto di polizia.
Allora, un po’, dovevamo aspettarcelo. Tutto fumo e niente arrosto.

 

(10/02/08)

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