LA CASA

REGIA: Sam Raimi
CAST: Bruce Campbell, Ellen Sandweiss, Richard DeManincor
SCENEGGIATURA: Sam Raimi
ANNO: 1981


A cura di Pierre Hombrebueno

DREYER, RAIMI, GODARD, E ANCORA RAIMI

Il collega Sandro Lozzi lo definisce addirittura “Il miglior film degli anni 80”.
Difficile contraddirlo, ma soprattutto, difficile contraddire Raimi, che in quest’opera porta impressa nelle immagini in movimento non solo la sua (propria) teoria estetica-ontologica del Cinema (che sarà esattamente quella più d’avanguardia per tutto il decennio e non solo), ma porta anche l’horror al massimo della sua potenza (messa in) scenica.
E per addentrarci dentro Evil Dead, è necessario partire esattamente dal 1932, anno di realizzazione del Dreyeriano Vampyr, l’opera cinematografica Horror che più di ogni altra influenzerà le generazioni successive con la sua innovativa e forte condensazione di quelle che saranno le inquadrature e i movimenti di macchina (diventati poi) propri del genere, uno su tutti, quella primissima malefica soggettiva del male-mostro-demonio mentre spia di nascosto la preda incurante del pericolo che sta correndo.
La (r)evoluzione Dreyeriana nell’aver portato finalmente il nemico in una dimensione puramente soggettiva raggiungerà il pieno della sua potenzialità dissacrale solamente 50 anni dopo, proprio con Raimi e questo Evil Dead. Il male non è più oggetto, ma soggetto antropomorfico che viene assimilato ed assorbito dall’oggetto macchina da presa, che diventa perciò il vero protagonista dell’opera in quanto si (auto)imprime ogni funzionalità non solo estetica, ma anche etica, ancora una volta a dimostrare che nel Cinema, la storia non conta un emerito cazzo.
In Evil Dead abbiamo solo una casa, 5 ragazzi, e la macchina da presa. Nient’altro. E il mostro è incarnato in questo cine-occhio come entità inseparabilmente macabra, in quanto la paura sta dietro questa macchina, dietro il quadro, confinata al di là del visibile.
Ed è sempre questo “noumeno” ad inseguire una delle protagoniste nel bosco, ad impossessarsi degli alberi ordinando loro di stuprare questa povera donzella, a entrare dentro i protagonisti uno ad uno per trasformarli in bestie, fino all’ultima scena, dove è sempre l’invisibile che coglierà di sorpresa l’ultimo dei sopravissuti.
E’ la paura che si incarna nella macchina da presa, priva di volume, quasi astratta, meta-fisica, come un Shining Kubrickiano che agisce senza controllo e senza forma, o come un virus epidermico alla Alien (Ridley Scott), che guardacaso, è un’opera di fantascienza girata però come un Horror: il male come una malattia mortale, un’epidemia microscopicamente invisibile che annienta il corpo umano come la peste bubbonica. In fondo potremmo tranquillamente leggere La Casa in questi termini: 5 ragazzi vanno per le vacanze in una casa isolata, solo che in questa casa si dilaga un virus mortale che li farà ammalare uno alla volta, portandoli alla distruzione del proprio sistema immunitario (la putrefazione finale non è un caso).
Ma La Casa è più di questo. Raimi riesce ad unire il passato (Dreyer) e il post-moderno (estetico) esponendo finalmente, chiaro e (ro)tondo, il suo manifesto cinematografico moderno (nouvelle-vaghiano): La politique des auteurs, il regista come demiurgo, controllore di ogni singolo fattore che compone e muove la macchina Cinema. Il tutto non è che la tesi dimostrata che per raggiungere la perfezione, è necessario equilibrare sempre i 2 piatti della bilancia, formando poi un terzo piatto che inclina ed invaghisce su di sé tutto ciò che era, è, e sarà il Cinema.
Noi proponiamo questa chiave di lettura:
Il male/mostro/demonio/virus/malattia è il regista stesso. E’ l’ectoplasma invisibile mai mostrato, eppure ha il totale controllo di ogni elemento: può dar vita agli alberi, può trasformare un gruppo di attori in mostri sanguinari, può prendersi gioco di loro, utilizzarli come pupazzi esperimentali o pezzi di pongo, se vuole può addirittura incenerirli, decomprimerli, ed annientarli completamente.
E’ il trionfo, ancora una volta, della Politica degli autori. Il regista/autore è Dio e può fare (sadicamente) tutto senza neanche manifestarsi sul quadro. Gli attori, non possono che soccombere uno ad uno, inceneriti anche controvoglia.

(19/10/05)

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