LA CASA DEL DIAVOLO

REGIA: Rob Zombie
INTERPRETI: Sid Haig, Bill Mosley, Sheri Moon Zombie
SCENEGGIATURA: Rob Zombie
ANNO: 2005


A cura di Luca Lombardini

VIZI DI FAMIGLIA

Adesso possiamo gridarlo al mondo intero e senza la minima esitazione: Rob Zombie è il nuovo profeta del cinema horror. Una figura di tale spessore l’aspettavamo da anni e, nella frenesia di incoronare il degno erede dei vari Carpenter e Romero, abbiamo preso anche le nostre belle cantonate (vedi Eli Roth) ma, come si dice in questi casi, meglio tardi che mai.
Robert Cummings (questo il nome di battesimo del celebre musicista/regista), oltre a confermare gli elogi critici e di pubblico piovuti su La casa dei 1000 corpi, con La casa del diavolo è riuscito a sfornare una pellicola tecnicamente e narrativamente addirittura superiore al prototipo, impresa questa non da poco, che lo avvicina alla rosa di uno sparuto gruppo di cineasti in grado di fare altrettanto, come Cameron (Terminator 2) o lo stesso Carpenter (Fuga da Los Angeles).
The Devil’s Reject inizia come un sequel genetico de La casa dei 1000 corpi, per rivelarsi, minuto dopo minuto, come pellicola in grado di respirare e vivere di vita propria. Rispetto al primo episodio infatti, a cambiare sono sia la forma che la struttura della narrazione. La dissacrazione, l’eccesso, il cartoon visionario, lasciano il posto ad un immaginario on the road tremendamente reale e spietato, dove la violenza e l’efferatezze diventano, da ludici, elementi necessari per sopravvivere ad una martellante caccia all’uomo. Il macabro e campagnolo parco giochi della morte, viene immediatamente “profanato”, la maschera clownesca di Capitan Spaulding sparisce quasi subito, sostituita dal ghigno marcio di un padre di famiglia, che deve portare in salvo la sua prole. Ecco allora che il Super 16 utilizzato da Zombie per conferire alla pellicola un tocco in stile Hopper, si piega gioco forza al ralenti “peckinpahiano”, unico espediente utile per omaggiare non tanto Il mucchio selvaggio, quanto The Getaway, capolavoro “su strada” dello “zio Sam”, al quale il cinefilo Rob, sembra essersi maggiormente ispirato.
La base cultural – horrorifica rimane invariata: Il clan dei Barker e Non aprite quella porta restano i modelli principali, ma qua e la fanno capolino i fantasmi di Spider Baby (Sid Haig era tra i protagonisti del film di Jack Hill), Le colline hanno gli occhi e Zombi, questi ultimi richiamati alla memoria non tanto per affinità di trama, quanto per i cammei di Michael Berryman (il dinoccolato e sfigurato componente della family “craveniana”) e Ken Foree (l’attore di colore “sopravvissuto” al secondo capitolo della quadrilogia di Romero).
Se l’immaginario è quello di un horror anni settanta, ciò che colpisce maggiormente di The Devil’s Rejects è l’abilità di scrittura del suo regista, talmente bravo da riuscire a miscelare al meglio le psicologie dei suoi personaggi con le emozioni del pubblico. Il suo è un cinema si sanguigno e sanguinolento, fatto di follia ed esecuzioni a sangue freddo, popolato da freak deviati e puzzolenti, con la canotta incrostata di sudore e le mutande sudice; ma sotto questo alone di sporcizia e violenza c’è la mano sapiente di un abile story teller, in grado di trasformare le sue creature, nel giro di un paio di scene, da “rifiuti del diavolo” in malinconici anti-eroi.
Ad emozionare di più, ne La casa del diavolo, non sono né gli omaggi alla storia del cinema (Animal Crackers, Bela Lugosi, William “CockeyeForsyte) né la configurazione di genere del film. A toccare maggiormente l’animo e lo sguardo dello spettatore sono le finezze registiche e di scrittura di Zombie che, aggiunte alla malinconica e calzante riflessione sullo sgretolarsi del nucleo familiare, fanno di The Devil’s Reject un vero e proprio capolavoro.

(15/05/06)

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