CHIEDI ALLA POLVERE
REGIA: Robert Towne
CAST : Colin Farrell, Salma Hayek, Donald Sutherland
SCENEGGIATURA: Robert Towne
ANNO: 2006
A cura di Luca Lombardini
POST HOC, ERGO PROPTER HOC
Ovvero dopo questo, quindi a causa di questo. Dove il
“questo” e la “causa” vanno rintracciati nella ormai
cronica mancanza di idee che da qualche anno a questa
parte sta flagellando un po’ tutte le produzioni hollywoodiane. Ma andiamo per ordine: siamo di fronte alla trasposizione
cinematografica di un romanzo maestoso, firmato da uno dei più grandi scrittori
della letteratura moderna, scoperto nel 1974 da uno sceneggiatore che si
apprestava a dare alla luce la sua più celebre creatura (Chinatown), diretto da quest’ultimo
e interpretato da un cast di nomi più che celebri. Chiunque quindi, si sarebbe
potuto aspettare non dico un capolavoro, ma almeno un film ben confezionato,
che riuscisse, almeno in parte, a mostrare la vera essenza dell’opera
dalla quale è tratto. In Chiedi alla polvere invece, di tutto ciò, non vi è la minima
traccia. Towne
gira con piglio decisamente retrò, percuote in maniera
sincopata le corde del melodramma, cercando (invano) di ricreare le atmosfere
disperate che hanno consegnato all’immortalità la figura di John Fante e la sua “trilogia di
Bunker Hill”. Il problema però, sta nella
manifesta superficialità della pellicola, e nella sua incapacità di scavare a
fondo tra le pieghe e le righe di un preciso momento storico, senza il quale la
figura di Fante e del suo alter ego
Arturo Bandini, probabilmente non sarebbe
mai esistita. La responsabilità in questi casi, non può non essere dello
sceneggiatore e della sua penna approssimativa, che con far incomprensibile
elimina qualsiasi rimando alla Los Angeles della Depressione e alle tensioni
razziali, che dividevano i bianchi dai messicani, i mangia
spaghetti dai musi gialli. Del sogno americano quasi morto ancor prima di venire alla luce, delle sue molte ombre e delle flebili
luci, in Ask the Dust non vi è la minima traccia,
l’ambientazione tutta, che forse ancor più dell’intreccio ha reso
celebre gli scritti di Fante, nel
migliore dei casi viene solo accennata. Chi non ha mai sfogliato un suo libro
però, potrebbe comunque sostenere che in fin dei conti
Chiedi alla polvere altro non è che
una lancinante storia d’amore, proibita e impossibile. Tesi
condivisibile, se tutto ciò non si trasformasse in una patinata storiella
immortalata da una regia immobile, che cerca di far apparire disperato un
legame quasi melassoso e a tratti insopportabile,
complice una alchimia non proprio perfetta tra
l’orgoglioso, ma poco efficace Farrell e una caliente Hayek, ormai impantanata nel
ruolo della messicana sfortunata dai tempi di Mela e Tequila.
L’errore di fondo è a monte, nella quasi
a-temporalità all’interno della quale viene immersa la vicenda, che
sottrae agli scontri dei due amanti impossibili ogni tipo di magia;
d’altronde cosa rimarrebbe della traduzione cinematografica di un
qualsiasi capitolo della L.A. Quartet di James Ellroy se quest’ultima venisse privata della visone dannata del
suo ideatore verso gli anni cinquanta americani? Semplice:
una banale tramuccia di guardie e ladri che non
farebbe gridare al miracolo nessuno.
Allo stesso modo, la “morale” disillusa del libro di Fante, emerge con troppa fatica
nell’ultimo lavoro di Towne, ed è rintracciabile nell’inaspettata felicità
che i due protagonisti trovano stringendo, l’uno al petto
dell’altra, tutto l’opposto dei loro desideri: Camilla, alla
ricerca di un wasp made in
USA, incontrerà l’amore di un emigrante italiano, mentre Arturo rinuncerà
al sogno di sposare una bionda DOC, per regalare il suo cuore ad una chica che di lavoro fa la cameriera.
Chiedi alla polvere è un film figlio della Hollywood dei nostri tempi: una macchina da cinema che
sta attraversando la più grande crisi ideativa che la
storia recente ricordi, un industria alla quale mancano prima di tutto
sceneggiatori di talento, e se i suoi mostri sacri, una volta imbracciata la
macchina da presa, evidenziano lacune proprio nel loro campo di competenza,
vuol dire che non c’è molto di cui stare allegri.
(04/05/06)