LE COLLINE HANNO GLI OCCHI
REGIA: Alexandre Aja
CAST: Aaron Stanford, Kathleen Quinlan, Vinessa Shav
SCENEGGIATURA: Alexandre Aja
ANNO: 2006
A cura di Luca Lombardini
L’ALLIEVO SUPERA IL MAESTRO
Chi segue le storie di Positif, ricorderà con quali favorevoli giudizi
accogliemmo il precedente lavoro di Aja (Alta
Tensione). Ad ormai un anno di distanza, non possiamo non confermare la
nostra impressione iniziale: il regista transalpino è una delle più talentuose
promesse del panorama horror contemporaneo.
Gli occhi brillanti di Wes Craven
d'altronde, ogni qual volta, durante la conferenza stampa romana di Red Eye, gli venivano rivolte domande
inerenti al remake del suo film, apparivano già come un mezzo programma; un
po’ ingenui quindi, pensammo: se ci crede lui, perché non dovremmo
aspettarci anche noi un buon film? E così è stato, anzi, questa nuova versione
della pellicola datata 1977 è, per alcuni aspetti, addirittura superiore
all’originale.
Il novello The hills have eyes
infatti, rincara fin da subito dose e sottotesto politico, dando, già dai
titoli di testa, ampia visibilità e rilievo ai presunti esperimenti nucleari
messi in atto tra il ’45 e il ’62 dal governo americano nel deserto
del New Mexico, le cui radiazioni sarebbero la causa principale delle
malformazioni, fisiche e genetiche, dell’ormai celebre
“casata” cannibale capitata dal famelico Plutone.
Ad una prima parte tutto sommato in linea con il prototipo craveniano, dove Aja, con flemma registica pari
all’originale, introduce il vacanziero pellegrinaggio della famiglia
Carter diretta in California, il film risponde con un secondo tempo selvaggio e
per nulla adatto ai deboli di cuore, dove le efficaci e realistiche trovate
gore di Nicotero e Berger, permettono al talentino francese
di sbizzarrirsi tra mutilazioni, corpi carbonizzati, crani presi a picconate,
ossa che si spezzano e tanto, tanto sangue; con sequenze talmente nauseanti (l’assalto
notturno della roulotte, con tanto di stupro di una bionda teen ager) da
risultare poco digeribili anche ai più preparati psicologicamente.
Oltre alle inaudite accelerazioni di violenza (comunque già presenti nel DNA
filmico di Aja), la pellicola
scavalca in positivo l’originale nel momento in cui rivela a tutto
schermo, la fatiscente ghost town rasa al suolo dai citati esperimenti,
villaggio fantasma dove regna incontrastata la legge violenta dei congiunti
cannibali, talmente ben curato nei suoi dettagli di scenografia e atmosfera, da
apparire degno di un western gotico e crepuscolare.
Come se non bastasse, l’autore di Alta tensione si dimostra non solo a
suo agio con il canovaccio e la tradizione del genere, ma dissemina tutti i 107
minuti di perizie e leccornie tecniche, messe al servizio del racconto visivo:
la macchina a mano, il montaggio frenetico e i cut delle scene d’azione,
si incastrano alla perfezione con le panoramiche e i piani sequenza
dell’assolato set marocchino, mentre la suggestiva colonna sonora di
Tomandandy prima, e l’accecante fotografia di Maxine Alexandre poi, contribuiscono a rifinire al meglio la
confezione scenico/musicale della pellicola.
Oltre ad essere un solido horror movie, quella di Aja è un’opera che dimostra come si possano dirigere con
successo e intelligenza remake di pellicole cult, in grado a loro volta di
lasciare tracce concrete e indelebili nella storia del genere. Dopo anni di
attesa, possiamo finalmente fare affidamento non su uno, ma su ben due registi di
sicura levatura (Rob Zombie e Aja), capaci tecnicamente e cinefili
quanto basta, per dare nuovo splendore e rinnovata linfa ad un immaginario
cinematografico che da tempo appariva quanto meno boccheggiante. Ora non ci
resta che portare pazienza e aspettare che si concretizzi il nuovo progetto di Aja (The
Waiting), e che insieme ad esso, diventi magari realtà la pazza idea del
rocker orrorifico Rob: rifare Halloween di John Carpenter…
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