Nuovi svalvolati on the road: COME TI SPACCIO LA FAMIGLIA di Rawson Marshall Thurber
REGIA: Rawson Marshall Thurber
SCENEGGIATURA: Bob Fisher, Steve Faber, Sean Anders, John Morris
CAST: Jennifer Aniston, Jason Sudeikis, Emma Roberts, Will Poulter, Nick Offerman, Kathryn Hahn, Ed Helms
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013
Questa volta è vero più che in altre circostanze: mai giudicare il film dalla locandina né tantomeno dal suo (ingrato, ça va sans dire) titolo italiano. Come ti spaccio la famiglia schiera un gruppetto familiare di convenienza messo su a fini utilitaristici dallo spacciatore Jason Bateman, che ha la giusta faccia del simpatico stronzo, soprattutto quando si atteggia a uomo-medio-idiota; la mammina cara è una Aniston concentratissima a smantellare gli ultimi squarci residuali del suo ex status di fidanzatina d’America a suon di Aerosmith come colonna sonora di uno striptease improvvisato; completa il quadro una prole composta da un verginello sfigatello innocentello con la faccia da nerd, e dalla figlioccia d’arte Emma Roberts, innocua punkettara che pare in verità molto più a suo agio nelle vesti di pargola da mulino bianco (a parte quando rimorchia un decerebrato con tatuaggio sgrammaticato, slang ridicolo ed evidenti difficoltà comunicative).
Si occhieggia a Una notte da leoni (anche fisicamente data la presenza del sempre più looneytunesiano Ed Helms qui perfido boss in falsetto), la tonalità è la medesima dello sgangherato Come ammazzare il capo e vivere felici (dove Bateman era ancora più idiota e dove Jennifer s’allenava a diventare badass): Come ti spaccio la famiglia ha la stessa marca e lo stesso vestito, ma lo porta decisamente meglio. È un meccanismo ad orologeria che procede a spron battuto, più ispirato, è lungo ma scivola che è una bellezza.
E se siamo avvezzi (praticamente da quando eravamo in fasce) alle gag dei coniugi scambisti, ai poliziotti che chiedono un lavoretto orale, e ai can che abbaiano ma alla fine non mordono e si addomesticano all’ideale del focolare, in ultimo qui le cose non vanno proprio così. Tra slinguazzamenti (finto)incestuosi e fagottini di erba scambiati per neonati, nella commedia on the road di smandrappati s’addensano gag sfrenate e balugini di politicamente scorretto, e se alla fine la voglia di famiglia e (di conseguenza) di fare la cosa giusta e rientrare nel novero delle brave persone è più forte dell’irriverenza, attenzione all’ultima scena. I Miller si camuffano al modello ormai logoro delle famiglie-perfette del ceto medio americano, ma ne smascherano la fasullità di nucleo fallito e imploso (come già amaramente constatato dalla casalinga disperata Bree nella serie omonima), incapace di capire i figli, disintegrato sessualmente e sconcio di segreti; e anche se alla fine ne reindossano i panni, loro sono sempre gli stessi: magari non urleranno fuck the system ma restano quattro sbandati sotto copertura a cui i bravi&buoni-per-forza stanno ancora sugli zebedei.
E dunque, se persino Apatow cede al richiamo del conformismo sotto la patina (irresistibile) dell’irriverenza alla fine di Questi sono i 40, ci si lascia andare ancor più volentieri al godurioso congegno di Thurber.