UNA COSA CHIAMATA FELICITA’

REGIA: Bohdan Slįma
CAST: Tatiana Vilhelmovį, Pavel Liska, Anna Geislerovį
SCENEGGIATURA: Bohdan Slįma
ANNO: 2005


A cura di Davide Ticchi

REALTA’ C(I)ECA

I sobri moti della realtą ceca si stagliano di fronte agli occhi dello spettatore, con il loro estremo minimalismo estetico e quel senso di opprimente sofferenza ormai interiorizzata, provata da tutti i protagonisti. Uomini e donne abbandonati a loro stessi dallo stato, che mostra un lieve sentore solo nella sanitą, e addirittura da chi gli sta vicino, troppo indaffarato ad arrampicarsi su delusioni e traumi personali, per badare a quelli altrui. Pił che reale amicizia e fratellanza, infatti, fra tutti gli sventurati personaggi del nuovo film di Bohdan Slįma (Wild Bees), sembra vigere una grande solidarietą e comprensione sempre in atto. Il fatto che i comprimari vengano inizialmente presentati nella loro intimitą ed ostinata dignitą, sta a dimostrare che anche durante gli incontri e gli scontri, le cadute e le rialzate che si susseguiranno durante gli sviluppi del racconto, non verrą affatto mascherata la grande umanitą di questi individui. La caratterizzazione di tutti i personaggi, infatti, da Monika alla madre di Tonķk, viene impressa dall’interno, per mezzo della grande sensibilitą dell’autore, come del resto avviene per l’intero reportage di esistenze che si intrecciano fra loro.
In questo esordiente neo-neorealismo ceco, risulta fondamentale l’addentramento verso la piena conoscenza dei problemi pubblici e privati di questi luoghi. Non tanto la forma, quindi, al centro di ogni premessa realizzativa ed obbiettivo, quanto il rispetto per la povertą e la fragilitą di individui che riempiono il quadro con i loro volti segnati da lacrime e sudore.
Monika č una ragazza il cui fidanzato č partito alla volta degli Stati Uniti, e quindi della fortuna. Rimasta sola con la famiglia, vive dentro un alto palazzo di una cittą periferica, in prossimitą di una fabbrica che emana continuamente fumo nero. La sua vita si riempie del dolore per la pazzia di un’amica, madre di due figlioletti piccoli, della lontananza dal suo amore, e della grigia cupezza di accentramenti abitati alienanti e scalcinati. Una volta ricevuto un biglietto aereo per raggiungere il suo uomo, Monika č felice, ma dietro l’angolo nuove difficoltą la attendono, nel suo paese, nella sua cittą, nel suo palazzo, tra la sua gente sfortunata.
Come nella migliore tradizione neorealista italiana e di quella recentissima iraniana (Panahi, Makhmalbaf), il cinema di Slįma cresce e trova il suo scopo nei cosiddetti “momenti morti”, quelli di fatica e lavoro, che contraddistinguono unitariamente la vita di molti connazionali dei superbi attori misconosciuti di questo film. Personalitą garanti di performance attoriali fuori dal comune, contrassegnate da un rigoroso naturalismo espressivo, favorito soprattutto dalla grande definizione e neutralitą dei paesaggi ad essi abbracciati. Sembra vigere infatti un grande rapporto fra uomo e ambiente, la comprensione di due elementi che conducono spesso, in questi luoghi, al lavoro fisico nella terra e nelle fabbriche, come resta sempre scritto nel destino di Tonik. Lui che ha un animo cosģ gentile, una sensibilitą che lo distingue da tutti gli altri uomini del posto e che sarebbe sprecata nel lavoro di fabbrica, che automaticamente lo farebbe discendere nell’anonimato. Ma vi sono alternative? L’amore certo non aiuta a sopravvivere, ma a vivere. E questo basta? Come tutto per questi giovani č volubile, instabile e mutabile, anche l’amore e la felicitą sono sentimenti destinati al degrado, al raggiungimento istantaneo e all’istantaneo oblio. L’utopia li potrebbe portare a fuggire, verso chissą quale ideale forse raggiungibile, ma non di casa, sconosciuto e intimorente, ancora identificato da Slįma nell’american dream.
“Di doman non v’č certezza”, ma la felicitą, quella flebile luce di speranza che i tre protagonisti raggiungono nei modi pił insicuri ed improbabili, č stata in grado di sorprenderli nei momenti pił inattesi, nella semplicitą pił grezza. Quel sentimento contrastato, lontano e vicino allo stesso tempo, forse, solo dalla propria terra e dalla propria gente puņ essergli ancora donato.

(19/06/06)

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