CRASH – CONTATTO FISICO
REGIA: Paul Haggis
CAST: Sandra Bullock, Don Cheadle,
Matt Dillon
SCENEGGIATURA: Paul Haggis,
Bobby Moresco
ANNO: 2004
A cura di Davide Ticchi
WARNING SIGN
L’oggi sembra essere più tragico di quell’imperscrutabile
domani “metallico” che il detective Graham
Waters, interpretato da Don Cheadle,
ci presenta a inizio film dalla sua auto appena
tamponata.
“Stiamo tutti dietro vetro e
metallo, il contatto ci manca talmente che ci schiantiamo contro gli altri solo
per sentirne la presenza”
Affermazione esistenzialistica che riassume la solitudine fisica e morale degli
abitanti di Los Angeles, che come reazione psichica ad una simile condizione
umana esercitano ciò che viene comunemente definito “razzismo”,
sulla popolazione in cui non identificano le loro stesse frustrazioni ed
insoddisfazioni, dettate dal tempo e dalle ere tecnologico-sintetiche che
continuano a succedersi. La freddezza e l’amoralità dei rapporti
interpersonali è ciò che più mette paura ai numerosi protagonisti del film,
tutti legati da una comune cognizione individualistica di come si possa e debba
scampare alla vita. I colori, i visi e i volti delle persone acquistano così
tratti sofferenti, che causano malessere, odio, disumanità, lacrime di dolore e
di impotenza verso tutto ciò che impedisce
comprensione e amore alle cose che ci circondano, noi compresi in esse. Il più grande inganno evoluzionistico dell’ultimo secolo, lo
sviluppo tecnologico voluto dall’uomo, ricercato in tutti i modi e in
tutti luoghi, dalla mente ai corpi. Haggis
definisce, come Inàrritu ha fatto per l’anima,
una qualità di peso attribuibile alla tecnologia, al magnifico creato
dell’uomo millenaristico, e scopre che la risultanza di questo processo quantificante è proprio il
peso della disperazione, e della consapevolezza di quanto il proprio destino
sia inequivocabile.
Tutto quello che Paul Haggis
intuisce inizialmente è destinato però a rivelarsi ben presto farsa di esistenzialismo baracconesco e
modaiolo, che non bada insomma alle leggi della semplicità preferendo altresì
quelle dell’opulenza narrativa ed emotiva, suscitando emozioni di
irritazione e non sfocianti nella riflessione come era inteso che fosse. Così,
partendo da una tematica quanto mai reale ed in
continua fase di attualizzazione, propostaci spesso
sugli scaffali delle librerie ma poco nelle sale cinematografiche, Contatto
fisico vorrebbe vivificarla e renderle merito in ogni suo disperante
fotogramma, mentre involontariamente le assegna un’immagine tragica e
senile, che non giova al suo florido processo di sviluppo cognitivo-sociale.
Quindi la natura pura, asettica e abulica dell’arte di imperniato
assetto sociale e psicologico di opere come l’altro Crash, quello di
David Cronenberg, od il recente Millennium
People nella letteratura, di colui il quale fu scrittore del Crash cronenberghiano, James G. Ballard nel 1973; ebbene tale natura perde infinita
potenzialità percettiva e significativa, nel momento
in cui il razzismo assurge ad elemento incidentale fulcro della narrazione di
ogni storia post-moderna, che va ad intrecciarsi con le altre formando il
contatto fisico dei differenti punti di vista di uno stesso modello di essere
umano. Si sa che l’uomo del nuovo millennio è messo sotto pressione da
ogni minima sbadataggine della società che lo ha in cura, e visto
che metodologicamente e stilisticamente Haggis
utilizza gli stessi esercizi dei piani narrativi propri di America Oggi e
Magnolia, non ci si spiega il perchè della
predominanza pretestuosa di un tema a sua volta pretestuosamente facile (come
trattato nella maggior parte dei casi cinematografici) quale il
“razzismo”. Quindi la superficiale sensibilità con cui viene trattato in ogni frammento causa intrinsecamente la
pochezza della messinscena che lo ribadisce, proprio come un fenomeno evocativo
dei vecchi ralenti o spezzoni di pathos che esulano sintatticamente da un
discorso cinematografico quantomeno moderno.
Insomma, tra tutte le carenze di metodo e contenuto
del film sembrano corrispondere solo le fantascientifiche coincidenze dei nodi
narrativi dello script, giustificate oltretutto dal razzismo, come già detto un
tema fuori luogo e schema funzionale. Non si spiegano con la logica razionale
momenti da dramma televisivo di denuncia inter-razziale, come quello dello
sparo al ragazzo tuttofare da parte dell’esagitato venditore arabo, che gli
punta la pistola addosso da due metri senza neanche colpirlo, alla maniera del
peggior Pulp Fiction (e non mi si parli di intervento
divino o registico del destino umano).
L’unico frammento di vita vissuta apparentemente credibile e realmente
interessante sembra essere quello dell’agente Ryan,
interpretato dal sempre ottimo Matt Dillon, che si avvicina a una visione del razzismo realista
ed infima a livello ideologico, proprio come piace a Spike
Lee.
Per il resto, Crash – contatto fisico coincide solo all’apparenza
con una ferrea riflessione sulle realtà esistenzialistiche dell’uomo, che
lo riguardano invece solo da lontano, con davanti infiniti pretesti
strumentalizzanti e forzati di stupidità umane, e che non parlano soprattutto
di incidenti stradali e primi veri contatti umani. Per quello esiste
l’altro Crash, ma quella è tutta un’altra storia…
(16/11/05)