DI NUOVO IN GIOCO di Robert Lorenz
REGIA: Robert Lorenz
SCENEGGIATURA: Randy Brown
CAST: Clint Eastwood, Amy Adams, Justin Timberlake, John Goodman, Matthew Lillard
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012
USCITA: 29 novembre 2012
QUESTO NON E’ UN FILM DI CLINT EASTWOOD
MA E’ LUI LA COSA MIGLIORE
Facile pensare a Di nuovo in gioco come ad un totale film di Clint Eastwood. Non stiamo qui ad elencare i suoi temi ricorrenti che tornano anche in questa pellicola, ci fidiamo abbastanza dei lettori da supporre che possano capirlo loro e anche abbastanza facilmente, ma basti pensare che dietro l’opera prima di Robert Lorenz (anche lui da sempre fido collaboratore del nostro cavaliere pallido) ci sia praticamente lo stesso crew tecnico di un qualsiasi altro film targato Eastwood, dal direttore della fotografia Tom Stern alla presenza di Joel Cox dentro la cabina di montaggio. Eppure, ci basta poco per capire immediatamente che non è il Clint a stare dietro la macchina da presa: lo vediamo dalla grammatica filmica elementarissima che Lorenz utilizza, il suo pedinare accademico le regole più basilari dell’audiovisivo, il suo raccordare le scene in maniera così cacovisiva da far sembrare ogni stacco una martellata in testa. Non ultimo, lo capiamo dalla superficialità con cui liquida i punti di maggior interesse della pellicola, non solo con quell’happy ending da prurito vaginale, ma anche sorvolando il vero nucleo del film (il rapporto padre-figlia) senza coglierne la più profonda essenza, quella malinconica che sta tra il nulla e l’addio. In tutto ciò, ritroviamo a zonzo un Justin Timberlake che potrebbe vincere il premio come personaggio più inutile dell’anno, inserito per non si sa quale arcano motivo: i punti focali sono Eastwood ed Amy Adams, Timberlake non serve a un cazzo in quanto non aggiunge né toglie nulla a quanto già c’è.
Insomma, Di nuovo in gioco sarebbe proprio un film di merda, se soltanto non avesse avuto un attore che è al di là di qualsiasi film di merda, uno che riesce ad inglobare in sè tutto il bello (visivo, emozionale, empatico) che potrebbe esserci in un’opera anche fallimentare. Stiamo ovviamente parlando proprio di Clint Eastwood, per molti già il miglior regista vivente, per chi scrive anche il miglior attore su piazza; costui non è un genio bensì è posseduto dal genio: mettetelo nei film più merdosi possibili, ma state sicuri che la sua sola presenza su schermo basterà per irradiare sublime magnificenza. Ogni singolo lineamento del suo viso è Storia (del cinema, del mondo) e una scena come quella al cimitero dovrebbe entrare di diritto come regalo indelebile in ogni archivio cinefilico: straziante, sull’orlo della più tenera commovenza, assolutamente uno dei momenti più alti della carriera dell’Eastwood attore. Ogni nuovo film è uno scoprirsi intimamente: in Million Dollar Baby l’abbiamo visto piangere per la prima volta, in Gran Torino ha parlato come Batman spaccando musi gialli e specchi, qui spazia dall’invidiabile leggerezza comica d’altri tempi al dolce collasso emotivo davanti la tomba della defunta moglie. Forse nemmeno recita più, ed è per questo che è entrato ormai nella cerchia dei pochi grandissimi di oggi (insieme proprio ad un amico: Morgan Freeman). E se la sola presenza di un attore può trasformare una merda in una maestosa evocazione, allora potrebbe essere l’ora di parlare di una politica degl’attori.