DUEL

REGIA: Steven Spielberg
CAST: Dennis Weaver, Jacqueline Scott, Eddie Firestone
SCENEGGIATURA: Richard Matheson
ANNO: 1971


A cura di Pierre Hombrebueno

SPIELBERG CONDENSA TUTTO IL SUO CINEMA FUTURO

Nonostante sia stato concepito come prodotto per la televisione, possiamo effettivamente affermare che Duel segna l’inizio della carriera cinematografica di Spielberg, che solo pochi anni dopo arriverà a fare opere come Lo Squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo.
All’epoca non era ancora il Signor Buonismo, il Signor effetti speciali, o il Signor blockbuster, ma solamente un giovanotto che con poco budget a disposizione, la macchina da presa, e un montatore coi controcazzi, realizza un film stilisticamente perfetto e senza sbavature, dimostrando già allora la sua particolare dote con la macchina Cinema.
La trama è sempliciotta: un uomo in macchina è inseguito da un autocisterna che cercherà in tutti i modi di demolirlo. Il protagonista dovrà dunque cercare di scappare, e infine lottare per la propria sopravvivenza.

Per tutta la durata del film siamo invasi da una percezione hitchcockiana, la trama stessa ricorda uno dei topoi preferiti del maestro, ovvero quello di un uomo piccolo piccolo catapultato in avventure apparentemente fuori dalla sua portata. A dirci che il protagonista è un solitario quasi inutile sono già i primi minuti di film, lui, da solo in macchina con niente e nessuno tranne la sua radio. E poi la telefonata alla moglie, che ci sottolinea anche una certa codardia nel personaggio.
In un certo senso, Spielberg ci anticipa l’alienazione di E.T o The Terminal, anzi, probabilmente il protagonista di Duel è proprio quello più solitario della sua filmografia, e se il buon alieno di E.T e Viktor Navorski troveranno comunque un aiuto da parte di comprimari, l’automobilista di Duel sarà abbandonato a sé stesso in quelle auto-strade deserte per tutta la durata della storia.
Spielberg concepisce dunque un self-made-man, un uomo che dovrà farsi la strada da solo senza l’appoggio di nessuno, contro un avversario molto più grande di lui. Riguardo questo versus, si è detto e metaforizzato di tutto: la sfida tra il bene e il male, Davide contro Golia, l’uomo contro la macchina, e più chi ne ha ne emetta.

Ma ciò che c’interessa è il modo in cui l’autore concepisce ed esprime la suspense, con un semplice gioco di piani, contro-piani, e musica.
Le inquadrature sono curatissime con estrema maestria, con particolare attenzione ai dettagli (c’è chi legge in questo film, a cominciare dal titolo, un rimando al Western); ma l’oggetto più sfruttato è senz’altro lo specchietto della macchina, vero indicatore per avvertirci del male che si avvicina, come una specie di radar a distanza.
Spielberg gestisce con finezza lo spazio e il tempo, come se questi 2 corpi narrativi fossero pezzi di puzzle perfettamente combacianti: abbiamo sempre l’essenziale nel quadro, niente di più e niente di meno del necessario per creare un’opera dalla fluidità sorprendente, il tutto senza il bombardamento di effetti digitali che faranno la fortuna del futuro di questo (sempre comunque grandissimo) autore.
C’è poi un uso sofisticatissimo delle musiche di Billy Goldenberg, in tipica chiave thrillifica, a scatti, anch’esso indicatore del pericolo in avvicinamento, e sappiamo tutti della capacità epidermica di Spielberg nel cucire una nota musicale con un fotogramma come fossero complementari, un tutt’uno.
Possiamo notare che tramite questo film, Spielberg anticipa largamente una delle sue opere più famose: Lo Squalo.
In fondo, il camion non è altro che uno squalo nascosto tra le acque, pronto ad attaccare le sue vittime ogni qual volta scattino le note di Billy Goldenberg/John Williams. L’antagonista, dunque, non è il camionista (che guardacaso non viene mai mostrato in volto), bensì il camion stesso, possente e prepotente mentre cerca di divorare i pesci più piccoli; il camion diventa l’allegoria stessa della paura del protagonista verso un ostacolo che lo mette a dura prova.
Il camion che acquista una propria identità, una valenza antropomorfica, segna dunque un’altra tematica che tornerà nel più recente Spielberg, ovvero una sorta di macchina-fobia. La stessa paura de La Guerra dei mondi non è tanto verso gli alieni invasori, bensì verso le loro macchine più avanzate delle nostre, e quindi capaci di disintegrarci nel nulla.

C’è chi definisce Duel addirittura la miglior opera della filmografia spielberghiana. Noi, non ci vogliamo pensare. Sappiamo solo che è un film eccellente, scorrevole come l’olio, e (pre)meditato con genio.

(15/01/06)

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