L’ESORCISMO DI EMILY ROSE

REGIA
: Scott Derrickson
CAST: Laura Linney, Tom Wilkinson, Jennifer Carpenter
SCENEGGIATURA: Scott Derrickson, Paul Harris Boardman
ANNO: 2005


A cura di Pierre Hombrebueno

SLEEPING WITH GHOSTS

Dirò subito il perchè L’Esorcismo di Emily Rose è una delle opere migliori degli ultimi tempi: Oltre ad essere un bellissimo horror/thriller, è anche un bellissimo film giudiziario.
Da tanto, forse troppo, non ci capitava di vedere un’opera che riesca a congiungere una venalità orrorifica con un realismo quotidiano, e questo rende l’opera di Derrickson particolarmente interessante e sofisticata.
Perdio, basta con la new wave asiatica. E basta anche con gli zombie o i re-make. Anche se effettivamente, questa affermazione può essere paradossale, in quanto Derrickson si ispira (e come diavolo non potrebbe) chiaramente a quell’Esorcista di William Friedkin. E si, è dal 1973 che non vediamo sui grandi schermi un film sull’esorcismo efficace come quello di Emily Rose; ci bastano i titoli di testa per capirlo, con quelle urla strazianti e un uso degli effetti sonori da stordire ogni spettatore benpensante.

La presentazione della scena è antologica: Avvolti da quella magnifica fotografia di Tom Stern (guardacaso, lo stesso direttore di quel capolavoroso Million Dollar Baby, che dosa la cromia con eloquente magnificenza), Derrickson ci mostra un quadro (con)turbante, inquadratura fissa come se il tempo si fosse fermato in quel luogo maledetto dove risiede il demonio, dove l’unico movimento interno deriva dalla figura anti-eroica del perdente che bussa alla porta. Si guarda intorno, per scovare quei dettagli iconografici. Non sembra esserci vento, eppure c’è movimento (meta)fisico nell’aria: e’ l’atmosfera mortale/mortuaria che ripercorre il quadro come una gelida brezza di brivido. E in qualche modo questa natura morta ci anticipa l’altra morte, quella della protagonista che scopriremo poco dopo con la macchina da presa che non osa (ancora) inoltrarsi oltre quella soglia. Vedremo, ancora una volta, delle anticipazioni, questa volta esplicite: graffi sul muro, sangue, ma soprattutto, malattia, di quella cancerogena che si espande come un virus impazzito dilagandosi con la sporcizia più losca.
Quella di Derrickson è una messa in scena “completamente-essenziale”: è ricca di particolari, di dettagli, ma non rischia mai di offuscare o esagerare nei contenuti del quadro. Ogni elemento sta lì per una sua utilità che va al di là degli scopi puramente estetici.
E quei pochissimi, lentissimi movimenti di macchina sono sacrosantamente funzionali non solo nella descrizione visiva, ma anche nel metabolizzare la morte appena avvenuta, quasi come una macabra preghiera mistica che percorre scalinate e volti in assoluto silenzio liturgico.
Un registro che Derrickson (giustamente) cambierà nelle scene d’esorcismo, dove la macchina da presa s’inclina e si contorce, come se fosse posseduta essa stessa, impazzita e totalmente senza controllo. Con un approccio quasi documentaristico, il regista ci porta nell’arteria dell’azione, travolgendo l’oggettività in quel livello intrusivo che rende l’occhio cinematografico una soggettiva nascosta di una persona invisibile/fantasmagorica nel quadro, come una meticolosa ricerca dell’iper-realismo per fleshare gli spettatori all’interno della narrazione, come se fossimo lì dentro di persona ad assistere al dramma.

Derrickson rivela una grande dote in quanto creatore di atmosfere fortissime, e questo anche quando gli tocca scendere nel campo giudiziario e unire prontamente le due facce della stessa medaglia. Tom Wilkinson diventa l’incarnazione del regista stesso. Mentre noi, scettici, agnostici, siamo Laura Linney.
Simbolico, in questo senso, il monologo finale della Linney davanti ai giudici.
Non esistono fatti. Ma solo probabilità. E qui il regista si deve giustamente e necessariamente affidare alle linee dello script e alla potenza fotogenica degli attori che ha a disposizione, tirando fuori da Laura Linney una grottesca ma esiliata confusione, da Tom Wilkinson un duplice disturbo, e da Jennifer Carpenter un’inquietudine del malessere interno (sono i fantasmi terreni che pian piano le stanno disintegrando le pulsioni vitali appropriandosi della sua anima, o è il sovrannaturale che attacca con tutta la sua forza demoniaca?)
E proprio come i giudici in tribunale, anche noi dobbiamo emettere la giusta sentenza. Ma così come l’unica vera certezza è il ricorrente amore (paterno di Wilkinson nei confronti dell’esorcizzata morta), il nostro non è che profonda ammirazione per Scott Derrickson, che dopo aver lavorato con persone del calibro di Wim Wenders, dimostra finalmente il suo talento registico con questo horror/thriller/giudiziario eccellente.

(10/10/05)

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